Il livello di tensione in Libia, su cui pesa la più grave crisi politica che abbia toccato il Paese nordafricano dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, aveva spinto le cancellerie occidentali, come Gran Bretagna e Germania, a prendere misure a tutela dei loro diplomatici. Oggi un’autobomba ha confermato le preoccupazioni per la sicurezza. L’esplosione, fuori dall’ospedale Al Jala di Bengasi, è di 15 morti e 30 feriti. Il vice-ministro dell’Interno libico ha confermato quello che era già stato rilanciato da alcune agenzie e descritto da diversi testimoni. Il rappresentante del governo libico ha precisato che “si tratta di un bilancio provvisorio”. Secondo i media libici tra le vittime ci sono donne e bambini.

L’11 settembre scorso proprio a Bengasi morirono l’ambasciatore Usa, Chris Stevens, e altri tre cittadini americani.

Ieri due stazioni di polizia, sempre a Bengasi, erano state attaccate dopo l’attentato subito da altri due distretti venerdì 10 maggio. Eppure la tensione sembrava eswsere calata dopo un braccio di ferro durato circa due settimane tra il governo di Tripoli e gruppi di miliziani armati che avevano messo l’assedio al ministero degli Esteri e quello della Giustizia. La richiesta iniziale dei miliziani era stata l’epurazione dalla vita politica di personaggi collusi con il regime di Muammar Gheddafi. Successivamente quando il Congresso, la più alta autorità del paese, ha approvato una legge in tal senso, hanno rilanciato chiedendo al premier Ali Zeidan di lasciare la guida del governo, per il suo atteggiamento considerato troppo arrendevole nei confronti degli ex gheddafiani.

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