“Quando ho sentito pronunciare il titolo ‘Paperman‘ mi sono detto ‘Ok, devi farlo’. Mi sono alzato dalla poltroncina, con addosso il mio tuxedo, e ho detto quello che dovevo dire. Un momento estremamente surreale. Salire quelle scale, ricevere la statuetta. Una sensazione meravigliosa, ero e sono incredibilmente felice”. Dall’altra parte del telefono John Kahrs ci descrive, ancora emozionato, le sensazioni provate durante la notte degli Oscar di domenica 24 febbraio. Nel corso della cerimonia che ha celebrato i film del 2012, l’artista Disney si è guadagnato la statuetta per il miglior cortometraggio d’animazione in una serata che ha visto la major come autentica protagonista: oltre al premio tributato a Paperman, Ribelle – The Brave della Pixar ha ottenuto quello per il miglior film d’animazione, mentre altre due pellicole dello studio, Frankenweenie di Tim Burton e Ralph Spaccatutto di Rich Moore, concorrevano nella medesima categoria. 

paper man from Kerem Kamil Koç on Vimeo.

Per dare forma alla sua visione artistica, Kahrs ha adottato uno stile peculiare capace di fondere l’eleganza dell’animazione tradizionale in bianco e nero con la solidità assicurata dalla moderna computer grafica: “La ragione per cui ho adottato questo stile risiede nel fatto che la computer grafica ha delle qualità espressive notevoli e conferisce un’elevata dose di dimensionalità a quello che fai. I miei collaboratori sono riusciti a mescolare insieme queste diverse cifre stilistiche. Per quanto mi riguarda, sono cresciuto professionalmente nell’ambito dell’animazione 3D. Ho iniziato la mia carriera proprio in questo settore negli anni novanta, ho lavorato ad alcuni dei migliori film d’animazione in computer grafica mai fatti. Sono incredibilmente orgoglioso di quello che abbiamo ottenuto con Paperman. L’animazione non deve necessariamente avere un’unica anima”.

Il corto narra una storia d’amore ambientata nella New York degli anni’40. Per portarla sullo schermo, oltre che alla tecnica innovativa, Kahrs deve molto anche alla tradizione Disney che si riflette direttamente nelle fattezze dei protagonisti, specie in quelle del giovane Roger: “Qui agli studios c’è molto rispetto verso quello che è stato fatto in passato, per cui Roger ha degli ovvi richiami verso i tanti personaggi snelli e sottili dei classici. Però se lo guardi bene ha anche un che di Adrien Brody e ricorda diversi miei colleghi alla Disney”.

La genesi di quest’opera affonda le sue radici negli anni novanta, quanto Kahrs viveva ancora a New York e lavorava come animatore presso i Blue Sky Studios, lo studio fondato nel 1987 da Chris Wedge (L’Era Glaciale). E’ stata proprio la Grande Mela a fornirgli l’ispirazione per la storia di Paperman e per il suo messaggio, il bisogno di stabilire delle connessioni fra esseri umani. “New York è una città intimidatoria, le persone tendono sempre a mantenere alto il loro livello di guardia. Alle volte la gente avverte dei legami con perfetti sconosciuti, individui che non ha mai visto prima. Penso che si tratti di una sensazione che conosce bene anche il pubblico, è qualcosa che può capitare a tutti, un sentimento universale. Tutti siamo alla ricerca di un collegamento, là fuori, con il prossimo. La ricerca dell’amore. E’ questo il cuore, il nocciolo di Paperman.”

Ma dietro a Paperman, al talento di John Kahrs e alla sua squadra di collaboratori si intravede anche, con l’abituale e variopinta camicia d’ordinanza, la figura di John Lasseter, il deus ex machina della Pixar divenuto Chief Creative Officer dei Walt Disney Animation Studios quando la casa di Topolino ha acquisito lo studio di proprietà di Steve Jobs. Di Lasseter, produttore esecutivo del corto, Karhs ci racconta: “John ha un’abilità unica nel riuscire a stabilire un legame col pubblico. Poi è incredibilmente paziente, generoso, un vero mentore. Una delle sue migliori qualità è che, quando stai lavorando a un progetto e ci sono dei problemi o ti trovi bloccato a metà strada, riesce sempre a spingerti a dare il meglio di te. Riesce sempre ad avere ben chiaro nella sua testa il potenziale di quel lavoro e ti sprona a tagliare il traguardo con successo. Non si limita a metterti davanti una sterile lista di problemi, ti aiuta a comprendere dove sta l’inghippo, a risolverlo e a dare forma a un qualcosa di notevole. Non è autoritario ma incoraggia chi lavora con lui spingendolo sempre verso il miglioramento e la risoluzione dei problemi.”

Il corto sarà presente nell’edizione home video di Ralph Spaccatutto, in arrivo il mese prossimo.

A cura di Andrea Bedeschi

BadTaste.it – il Nuovo Gusto del Cinema

Articolo Precedente

Emilia Romagna Film Fund: quanto ci tocca ancora aspettare?

next
Articolo Successivo

Antonioni, il mea culpa di Umberto Eco: “Il Nome della Rosa potevi girarlo tu”

next