Ponte sullo Stretto di Messina, sviluppo della rete di telecomunicazioni in fibra, Agenda digitale. E poi ancora nomine alla Cassa Depositi e Prestiti e alle Ferrovie, i casi Alitalia e Finmeccanica, lo spinoso dossier banche con in cima alla lista il futuro del Monte dei Paschi di Siena. L’elenco delle cose da fare per il prossimo governo è decisamente nutrito e il ritmo si preannuncia serrato in un clima socio-economico non proprio disteso. E con le prospettive di una economia ancora in declino. Una situazione non certo rose e fiori in cui il nuovo esecutivo, come del resto voluto da Mario Monti con il decreto decreto legge 21 (convertito in legge l’11 maggio 2012), avrà l’ultima parola su tutta una serie di partite che riguardano le reti infrastrutturali di ogni genere. La norma, infatti, attribuisce “al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di individuare le reti e gli impianti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e un potere di veto avverso qualsiasi delibera, atto o operazione, adottata a una società che detiene uno o più degli attivi individuati”. Una sorta di Golden share per i settori strategici del Paese con l’ultima parola al governo.

Ponte o non Ponte
Per ora l’unica certezza restano le penali per la mancata realizzazione della faraonica infrastruttura sullo Stretto di Messina. Un’opera che potrebbe costare ai contribuenti circa 500 milioni di euro che finiranno nelle tasche del consorzio Eurolink, formato da Impregilo, Condotte, Cmc, Sacyr e altri minori. Il futuro è da scrivere, con l’assemblea regionale siciliana che il 23 gennaio ha approvato una mozione per la “revoca in via definitiva del progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina” e “lo scioglimento senza costi aggiuntivi della società Stretto di Messina Spa”. Se dal cilindro del nuovo esecutivo uscisse una legge che cancella le penali, la risposte legale del Consorzio non tarderebbe ad arrivare. Pietro Salini, numero uno di Impregilo e dell’omonimo gruppo di famiglia, è del resto uno che ha dimostrato di avere dimestichezza con le carte bollate, come dimostra il braccio di ferro ingaggiato con il gruppo Gavio per il controllo di Impregilo che si potrebbe concludere definitivamente con l’Opa appena lanciata dal costruttore romano sul general contractor. L’alternativa? Procedere come da programma trattando con le aziende del consorzio sulle penali. Ma, sin d’ora, è evidente che nulla avverrà a costo zero.

Decollo da decidere per Alitalia
Il salvataggio orchestrato dal consorzio Cai attraverso la Banca Intesa all’epoca guidata da Corrado Passera – anno 2008, governo Berlusconi – è già costato al Paese circa 4 miliardi di euro, ma non ha permesso alla società di ripartire con un serio progetto di rilancio. Scaduto il blocco alla vendita dei titoli il 12 gennaio, buona parte dei soci italiani di Cai è intenzionata a vendere per far cassa. Come dar torto agli azionisti propensi a disfarsi delle proprie quote, se il vettore francese che possiede il 25% di Alitalia fosse davvero disposto a sborsare il 20% in più di quanto pagato dagli azionisti nel 2008, come riferito dal Messaggero il 6 gennaio scorso? Per Roberto Colaninno e la sua Immsi, che all’epoca investirono poco più di 80 milioni, significherebbe portare a casa 16 milioni di guadagni. Roba non da poco considerato che l’Alitalia secondo le stime ufficiose chiuderà il 2012 con 180 milioni di perdite e un debito da 900 milioni. Cifre pesanti che non piacciono ad alcuni soci, come la stessa Banca Intesa (all’8,9%), gli editori e imprenditori della sanità Angelucci (al 5,3%), il costruttore Toto (al 5,3%), il fondo Equinox (al 3,8%) e la Unipol, con l’eredità del 4,4% di Fondiaria Sai che potrebbero beneficiare di un incasso consistente a beneficio dei propri bilanci. Ma Parigi non ha fretta: AirFrance è impegnata nel piano tagli al 2015 con oltre 5mila esuberi e sa bene che il tempo gioca a proprio favore. Sullo sfondo resta poi il vettore di Abu Dhabi, Etihad. Tanto che il tema vero, al momento, è quello di un finanziamento da almeno 200 milioni in attesa di traghettare il gruppo verso un nuovo destino.

Rete web da sviluppare per recuperare in competitività
L’Agenda digitale europea stabilisce che entro la fine del 2013 tutti i cittadini dovranno avere accesso a reti a banda larga (almeno 1 megabit al secondo). Al momento, però, il 10% delle abitazioni italiane non è ancora stato raggiunto. L’Istat, nel rapporto Cittadini e nuove tecnologie, ricorda che il nostro Paese è fanalino di coda in Europa (22esimo posto) per la diffusione delle tecnologie digitali. “Con riferimento al mercato italiano, la Banca degli Investimenti europei stima un fabbisogno di investimenti per l’Italia compreso fra 9 e 24 miliardi a seconda delle tecnologie adottate”, spiegano alla Cassa Depositi e Prestiti, che è in prima linea assieme al fondo F2I di Vito Gamberale per cablare 30 città italiane attraverso la controllata Metroweb. Non è però ancora chiaro in questo scenario il ruolo che avrà Telecom, alle prese con l’esigenza di soddisfare i propri soci con i dividendi e di abbattere i 30 miliardi di debito ereditati dalla privatizzazione in giù. Il presidente di Telecom, Franco Bernabé, si dice disponibile a creare una newco in cui conferire la propria rete, quella privatizzata dal governo di Romano Prodi nel 1998. A patto di avere “garanzia che i benefici del piano regolatorio giustifichino il passo” di scorporo della rete di cui, come ha dichiarato Bernabé, Telecom manterrà comunque la maggioranza. Anche perché ritiene che la rete sia la garanzia per il debito della società. Con il rischio che gli investimenti nella rete non partano subito e che le tariffe restino fra le più alte d’Europa e con una scadente connettività.

In difesa su Finmeccanica
“Se lo chiede il governo mi dimetto”, dichiarò Giuseppe Orsi, attuale numero uno di Viale Montegrappa, all’indomani della notizia di indagini per presunte tangenti legate alla vendita di dodici elicotteri della Agusta Westland al governo indiano. Monti non ha chiesto cambiamenti in Finmeccanica, che già aveva registrato l’uscita di scena di Pierfrancesco Guarguaglini, travolto dall’inchiesta giudiziaria sugli appalti Enav, dalla quale è uscito solo recentemente dopo la richiesta di archiviazione formulata dai pm. Su Orsi, invece, c’è ancora l’ombra delle dichiarazioni rilasciate ai magistrati dal direttore delle Relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgognoni. Il quale, parlando della commessa di elicotteri, aveva accennato a una tangente di 10 milioni a favore della Lega. Ma ora che, in Europa, si parla di fusioni di big del settore come quella fra l’inglese Bae e la francese Eads, qualcosa potrebbe anche cambiare. Di sicuro rischia di cambiare prima delle elezioni il perimetro di riferimento del colosso della difesa, che ha deciso di cedere all’estero Ansaldo Energia. I manager italiani avrebbero chiesto di accelerare i tempi di offerta per chiudere la trattativa entro febbraio, cioè prima del voto in Italia, e della nascita di un nuovo governo che potrebbe cambiare le carte in tavola.

La patata bollente Mps passa al nuovo governo
Qualunque sia la soluzione per Rocca Salimbeni, il nuovo esecutivo dovrà accertarsi che la situazione finanziaria delle banche italiane sia solida. In altre parole, nessuna nuova operazione Alexandria che sbuca dalla cassaforte segreta ingoiando 4,5 miliardi di aiuti pubblici. Anche perché, proprio nei giorni in cui l’affare Mps ha riempito le cronache dei giornali italiani e internazionali, una commissione del Fondo Monetario Internazionale si aggirava nelle sedi degli istituti bancari facendo domande su crediti difficilmente esigibili, derivati e corrispondenza dei valori iscritti in bilancio per i beni della banca ai prezzi di mercato. Alla fine del tour, l’equipe del Fmi stilerà un rapporto che verrà reso noto in primavera con tutte le conseguenze del caso. 

Toto-nomine poco ricco
Il governo Monti, in un consiglio dei ministri del 3 febbraio 2012, ha infatti rinnovato in blocco molte fra le più alte cariche amministrative: Mario Canzio Ragioniere è diventato generale dello Stato; Fabrizia Lapecorella direttore generale delle finanze; Giuseppina Baffi capo del dipartimento per l’amministrazione generale, il personale ed i servizi; Raffaele Ferrara direttore dei Monopoli di Stato;Giuseppe Peleggi direttore dell’Agenzia delle dogane; Gabriella Alemanno direttrice dell’Agenzia del territorio; Attilio Befera direttore dell’Agenzia delle entrate e Stefano Scalera direttore dell’Agenzia del demanio. Tuttavia ad aprile terminerà il mandato dei vertici della Cassa Depositi e Prestiti, il braccio finanziario dello Stato forte dei risparmi postali degli italiani, al centro di molte partite strategiche (dalla rete agli aeroporti,ma anche delle promesse elettorali). Il presidente, Franco Bassanini, e l’ad Giovanni Gorno Tempini, puntano al rinnovo. Ma nulla di questi tempi è scontato, specialmente dopo il caso Mps, il cui ex presidente Giuseppe Mussari, ha da tempo immemore goduto del sostegno di Bassanini. Sempre in primavera scadranno alle Ferrovie dello Stato i mandati dell’ad Mauro Moretti (ad aprile) e del presidente Lamberto Cardia (a giugno), ex numero uno della Consob negli anni delle operazioni scellerate di Mps, ma anche di Parmalat e Cirio. Alla poltrona di Moretti ambiva Giuseppe Biesuz, ex amministratore delegato della Trenord, finito nei guai per il crac della società milanese di schermi esterni, la Urban Screen. Se Moretti dovesse diventare ministro per il Partito democratico o sindaco di Roma come vorrebbe il costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone, allora il nuovo governo dovrà sforzarsi a trovare un’alternativa a Biesuz.

Per le altre poltrone di Stato c’è tempo
Ma non troppo, visto che la scadenza dei consigli di Eni, Enel, Terna, Poste e Fintecna (la holding del ministero del Tesoro) è legata all’approvazione del bilancio 2013. Non sono comunque esclusi colpi di scena nell’ipotesi di incarichi di governo per i superdirigenti di Stato. Anche se con l’iscrizione nel registro degli indagati per le tangenti algerine di Saipem, sono definitivamente tramontate le tesi del banchiere Cesare Geronzi sull’ad dell’Eni Paolo Scaroni che sarebbe stato destinato al ministero degli Esteri in caso di Monti-bis. A bocce ferme c’è da scommettere che i manager in scadenza al bilancio 2013 (Franco Bernabé per Telecom, Fulvio Conti per l’Enel, Flavio Cattaneo per Terna,  Massimo Varazzani per Fintecna, Massimo Sarmi alle Poste e lo stesso Scaroni per l’Eni), saranno impegnati ad accreditarsi presso il nuovo governo in vista del totonomine. Ma anche per evitare veri tagli di stipendio dovuti alla spending review come quelli che stanno interessando i manager pubblici di mezza Europa.

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