Cresce la pressione sul Consiglio di Sicurezza dell’Onu per portare i crimini siriani davanti alla Corte penale internazionale. In una lettera datata 14 gennaio 2013, la Svizzera, insieme ad altri 56 paesi, tra cui l’Italia, ha rivolto un fermo appello alla presidenza del Consiglio di Sicurezza a New York, affinché questo adotti una risoluzione che deferisca la questione dei crimini commessi in Siria a partire dal marzo 2011 al Procuratore dell’Aia

La risoluzione in questione è necessaria affinché la Corte penale internazionale possa avere competenza sui presunti crimini siriani. La Siria infatti non è membro della Corte, non avendone ratificato il trattato istitutivo, il c.d. Statuto di Roma. Di conseguenza, il Procuratore della Corte non può di sua iniziativa avviare un’indagine sui crimini commessi in Siria, in quanto la giurisdizione della Corte è limitata appunto ai crimini commessi sul territorio o da parte di cittadini degli Stati membri, ossia che abbiano volontariamente ratificato lo Statuto di Roma. La Corte, che ha competenza su crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità, è un organismo permanente e indipendente, a differenza dei precedenti Tribunali ad hoc (come quello per la ex-Jugoslavia), istituiti dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E tuttavia un potere speciale è a quest’ultimo riservato anche all’interno dello Statuto di Roma, che consiste nella possibilità per il Consiglio di Sicurezza di ‘attivare’ la giurisdizione della Corte in merito a una particolare situazione ove crimini sono stati commessi, a prescindere dal luogo di commissione degli stessi o dalla nazionalità dei presunti responsabili.

Come ricorda la lettera svizzera, già nel novembre del 2011 una Commissione indipendente di inchiesta, istituita su mandato Onu, ha documentato la commissione sistematica di crimini quali esecuzioni sommarie, arresti arbitrari, sparizioni forzate, tortura, violenze sessuali e violazioni varie a danno della popolazione civile, inclusi i bambini ed esprimeva preoccupazione per la commissione di crimini contro l’umanità commessi nel paese dagli inizi della ‘ribellione’ al regime di Assad. Da allora diversi altri rapporti e indagini svolte da organizzazioni indipendenti per la tutela dei diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno messo in luce nella sua interezza la drammatica situazione in Siria. Il regime di Assad è accusato di gravissimi crimini, ma anche i ribelli, inclusi quelli legati al Free Syrian Army, parte della Coalizione dell’opposizione siriana (nel frattempo riconosciuto come legittima parte del conflitto e interlocutore da diversi governi, Italia inclusa) sono da più parti indicati come responsabili di altrettanto gravi violazioni a danno della popolazione civile.

Lungi dal placarsi la situazione col tempo è diventata sempre più disperata: gli attacchi sulla popolazione civile e la commissione di atrocità sono divenuti quasi la norma. Le stime dell’Onu parlano di circa 60.000 morti. È di questi giorni il tragico bilancio di 87 studenti uccisi nel doppio attentato nell’università di Aleppo, di cui regime e ribelli si accusano a vicenda.

E ciò nonostante il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è rimasto sostanzialmente immobile per tutti questi mesi, ventidue ormai: un tempo infinito, inaccettabile. Le ragioni politiche della paralisi sono note: Russia e Cina hanno per ben tre volte bloccato con il loro veto risoluzioni Onu che condannavano i crimini del regime di Assad. Tuttavia tali ragioni politiche sono sempre meno comprensibili, e tanto meno accettabili. Il Consiglio di Sicurezza deve a questo punto prestare ascolto alla richiesta di giustizia che proviene da paesi di tutto il mondo.

L’iniziativa svizzera è l’ultima di una serie di autorevoli prese di posizione nello stesso senso da parte di alte istituzioni a livello internazionale. Tra queste, l’Alto commissario per i diritti umani, Navy Pillay, in diverse occasioni ha raccomandato il deferimento della questione alla Corte penale internazionale, sottolineando i (presunti) crimini di entrambe le parti.

Molto recentemente il Consiglio dell’Unione europea, anche alla luce degli attacchi ai danni del convoglio delle forze dell’UNDOF ove sono stati feriti quattro peace-keepers, ha espressamente definito la situazione siriana come “unsustainable”, notando che non permette di garantire alcuna protezione ai civili. Com’è noto, a preoccupare in particolare è il rischio di uso di armi chimiche da parte del regime (secondo alcuni fonti americane, poi smentite, in realtà già utilizzate), nonché il rischio di “contagio” dei paesi confinanti.

Cosa farà nei prossimi giorni il Consiglio di Sicurezza è difficile da prevedere. Vi sono stati ad oggi solo due precedenti risoluzioni Onu di deferimento di una situazione alla Corte penale internazionale relativamente a Stati che non sono parte della Corte; la prima riguardante il Darfur (Sudan) nel 2005 e la seconda relativa alla Libia nel 2011. In altre gravissime occasioni tuttavia, come in Sri Lanka o in Palestina, il Consiglio ha fallito di agire. Inoltre occorre notare che nei due casi ricordati (Darfur e Libia), la Corte purtroppo non è stata in grado di condurre i procedimenti in modo adeguato a causa della mancata collaborazione degli Stati interessati. Una risoluzione Onu sarebbe in ogni caso un segnale importante, per riaffermare che gli attacchi contro i civili, le uccisioni, le torture, gli stupri, non saranno tollerate e che non sarà garantita l’impunità ai responsabili di tali crimini. Che sia oggi davanti alla Corte penale internazionale, o domani davanti ad un altro tribunale.

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