Come si fa a esultare di fronte alla prospettiva di vedere centinaia di lavoratori in mezzo a una strada? Vorrei chiederlo a Beppe Grillo, che definisce “una buona notizia” il rischio chiusura di una settantina di giornali che vivono e vanno in edicola anche grazie al finanziamento pubblico – e tanti saluti ai colleghi che ci lavorano, chi bene, chi meno bene, chi in buona fede (la stragrande maggioranza), chi in cattiva fede (il diffamatore seriale Alessandro Sallusti e i suoi epigoni, ma sono la minoranza).

Vorrei chiederglielo, se Grillo accettasse di farsi intervistare, vista l’insofferenza e il disgusto che ostenta verso la categoria dei “giornalisti”. Che lui, al pari dei “politici”, ritiene tutti prezzolati, servi del potere, fabbricatori di menzogne. Senza fare distinzioni rispetto alle nostre storie personali, ai nostri sacrifici, alle nostre deontologie, al nostro operato.

A me il modo di ragionare di Grillo non piace, perché finisce per svilire la sua sacrosanta battaglia contro gli sprechi e le malversazioni dei fondi per l’editoria quando questi finiscono ai Lavitola o ai De Gregorio di turno. Ho già scritto in passato – e lo ribadisco – che sono favorevole al finanziamento pubblico ai giornali perché alimentano il pluralismo dell’informazione e perché le notizie e le opinioni non sono merci da sottoporre alle leggi di mercato, anzi più ce ne sono meglio è per tutti. Ovviamente ho il massimo rispetto verso chi la pensa diversamente, compreso Grillo. Ma rabbrividisco di fronte al suo cinismo, che lo fa somigliare sempre più ad Elsa Fornero con la barba e i capelli ricci. Solo che Grillo non finge nemmeno di piangere. Mentre non so se la Fornero sa nuotare.

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