“Volo di solo andata”. E’ questa la dicitura sul fac-simile di una carta d’imbarco che, venerdì scorso, durante un sit-in sotto al ministero del Lavoro, gli ex lavoratori di Alitalia esponevano agli obiettivi di fotografi e cameraman. Sono 4200 tra piloti, assistenti di volo, addetti al check-in e al carico e scarico bagagli (il cosiddetto handling) per i quali “il rapporto di lavoro (con la ex compagnia di bandiera, ndr) – si legge nella lettera inviata il 30 settembre 2011, dai tre commissari straordinari succeduti ad Augusto Fantozzi – è da intendersi risolto alla data del 13 ottobre 2012”. Per loro dunque scattano adesso le procedure di mobilità: il preludio al licenziamento. “Il lavoratore – si legge sul sito alitaliaamministrazionestraordinaria.it  – dovrà inoltrare la domanda all’Inps entro il termine perentorio di 68 giorni”. Nessuno (o quasi), tra coloro che nel 2008 vennero esclusi dalla nuova compagnia (Cai), messa in piedi dalla cordata di imprenditori italiani guidata da Roberto Colaninno, poteva immaginarsi una fine simile.

“Le promesse che avevano fatto a noi e al Governo – racconta Luisa, una hostess assunta da Alitalia nel ’94 – erano altre”. Ovvero cassa integrazione per qualche anno e poi tutti (o quasi) riassorbiti. “Il rapporto di lavoro – riportava la prima lettera, arrivata loro quattro anni fa – resta sospeso”. Coloro che invece avevano maturato molti più anni di servizio sarebbero stati accompagnati, con i sette anni totali di ammortizzatori sociali – 4 di cassa integrazione, più altri 3 di mobilità –, alla pensione minima. Niente di tutto questo, perché per reclutare personale aggiuntivo, anziché attingere dalle liste dei cassintegrati, Cai – in netto contrasto con gli accordi siglati a Palazzo Chigi nell’ottobre del 2008 – ha assunto nuovi lavoratori, per poi mandarli, dopo poco tempo, in cassa integrazione (anche loro). Pochi mesi e sono iniziate le nuove assunzioni di altro personale precario ex novo. Talvolta anche previo corso di formazione pagato di tasca propria dai candidati. Ed intanto i cassaintegrati Alitalia sono rimasti ad aspettare. “Sono meno di un terzo, tra i quasi sei mila lavoratori tagliati nel 2008, quelli che sono stati reintegrati”, ricorda Fabio Frati, sindacalista della Cub Trasporti e anche lui nella lista dei licenziati.

Storia diversa ma stesso finale drammatico per coloro che, quando l’allora a.d. di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, mise appunto il “piano Fenice” – per far risorgere Alitalia dalle sue ceneri –, stavano per raggiungere l’agognata pensione: la nuova riforma delle pensioni, targata Fornero, “ci ha spostato la linea del traguardo di sette anni in avanti – prosegue Frati – E sperare che qualcuno assuma un ultracinquantenne (seppur altamente specializzato, ndr) è inverosimile”. Già perché poi, per ciò che ad esempio riguarda i piloti, “dopo alcuni mesi di inattività – spiega uno degli oltre 800 comandanti lasciati a casa – nonostante continuiamo a spendere più di mille euro all’anno per rinnovare il nostro brevetto con i simulatori, nessuna compagnia al mondo potrebbe assumerci, visto che non abbiamo più la cosiddetta currency, cioè l’attività costante. E riciclarsi a cinquantaquattro anni è impossibile”.

Anche loro esodati, e costretti a coprire un “buco” contributivo più o meno grande. Intanto la nuova Alitalia Cai continua a perdere utili, allontanando di anno in anno l’annunciato pareggio di bilancio: nel primo semestre 2012 ha registrato una perdita netta di 201 milioni di euro. E la (quasi) automatica conseguenza non può non essere il taglio di altri posti di lavoro. Martedì prossimo l’azienda illustrerà ai sindacati il nuovo piano industriale. In quell’occasione, secondo quanto già lasciato intendere nei mesi scorsi dai vertici della stessa compagnia, potrebbe essere annunciata l’apertura di una nuova procedura di cassa integrazione per almeno mille lavoratori, di quasi tutti i settori. Che andrebbero così ad aggiungersi a quei 700 dipendenti Cai, in cigs da marzo 2011, e ai 76 lavoratori della Argol. Il progetto di rilancio della compagnia di bandiera italiana “è stato un fallimento”, continuavano a ripetere  dal presidio sotto al ministero del Lavoro alcuni di quei 4.200 ex (dal 14 ottobre a tutti gli effetti) lavoratori Alitalia, mentre protestavano contro l’altro dicastero che sta proprio di fronte: quello dello Sviluppo Economico, presieduto dall’artefice del “piano Fenice”.

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