Workshop The European House - Monti e Van Rompuy
Mario Monti e Herman Van Rompuy @LaPresse

 

 

 

 

 

 

 

Testata: El Pais
Data di pubblicazione: 11 settembre 2012
Autore dell’articolo originale:  Jordi Vaquer
Traduzione di Marco Pinzuti, Francesco Pasquarelli, Michela Farina e Amina Iacuzio per italiadallestero.info

Tecnocrati e scetticismo

Sabato scorso [8 settembre, N.d.T.] il capo del Governo italiano Mario Monti e il Presidente del Consiglio dell’Unione Europea Herman van Rompuy hanno prospettato l’ipotesi di un vertice straordinario a Roma, per parlare del futuro dell’idea di Europa e per frenare l’avanzata dei populismi e dell’euroscetticismo.

La questione è importante, in un momento in cui partiti populisti di orientamenti diversi crescono non solo in termini di potere, ma soprattutto nella capacità di influenzare l’opinione pubblica facendo dell’opposizione all’integrazione europea la propria bandiera, in nome del popolo e della sua sovranità. Tuttavia l’iniziativa parte da due dirigenti di debole legittimità democratica e potrebbe essere fraintesa, se dovesse tendere a porre sullo stesso piano i diversi populismi e la critica necessaria all’operato dell’Ue.

Se la questione non fosse tanto seria, sembrerebbe un’ironia: gli unici due leader che fanno parte del Consiglio europeo senza essersi dovuti presentare alle elezioni politiche propongono un vertice per correggere l'”errore” dell’euroscetticismo nell’opinione pubblica e nella cittadinanza.

Lo fanno dopo aver partecipato all’esclusivo Foro Ambrosetti, un incontro che ogni anno riunisce politici e uomini d’affari italiani e internazionali in un lussuoso hotel vicino al lago di Como. Il giusto tipo di evento che, come Davos, riunisce le élites politiche e imprenditoriali per discutere di dove va il mondo, lontano dal clamore della gente comune.

La proposta di Monti e Van Rompuy è niente di meno che… un altro summit straordinario! Quando l’Europa è malata di verticite, sfinita dalle riunioni ai massimi livelli che infine producono il più esiguo dei risultati, proporne un altro per illudere nuovamente i cittadini mostra quale abisso separa questi leaders non eletti da gran parte dell’opinione pubblica.

Van Rompuy e Monti rappresentano due varianti dell’Europa tecnocratica che molti cittadini, non solo quelli populisti, vogliono lasciarsi alle spalle. Van Rompuy è stato nominato in maniera nebulosa e a sorpresa durante una cena informale tra capi di Governo che cercavano un profilo basso per un posto che già di per sé non aveva la possibilità di giocare un ruolo nel processo politico interno e ancor meno di rispondere o interloquire direttamente con i cittadini. Van Rompuy accentra nella sua persona le contraddizioni della lambiccata struttura istituzionale creata dal Trattato di Lisbona e la volontà degli Stati di eliminare eventuali figure carismatiche  che possano farle da contrappeso.

Monti rappresenta una nuova versione di governo tecnocratico, che spinge al limite i normali meccanismi politici degli Stati membri sostituendo i politici eletti quando questi non sono in grado di assicurare la credibilità del Governo nel realizzare riforme e tagli nei modi e nei tempi stabiliti dai centri decisionali europei – Bruxelles, Francoforte (sede della Banca Centrale Europea) e Berlino.

La crisi della moneta unica mette in discussione il sessantenne Metodo Monnet, che consiste nell’avanzare senza scosse sulla via dell’integrazione, a forza di piccoli passi che rendano inevitabile la successiva cessione di sovranità, ma mette in discussione qualcosa di più che il metodo: anche la legittimità di pochi a prendere decisioni di enorme importanza per i cittadini degli Stati membri senza sottomettersi al loro controllo attraverso le urne.

Monti e Van Rompuy, nati negli anni ’40, non sono il futuro, bensì gli ultimi rappresentanti di quel gruppo che ha voluto governare per il bene degli europei in nome della pace, senza preoccuparsi della necessità di rafforzare le credenziali democratiche del progetto. Bisogna riconoscere che i due presidenti affrontano per lo meno il tema: è importante parlare di politica e difendere il progetto di integrazione non solo dagli  umori dei mercati, ma anche dalla delusione dei cittadini.

Difficilmente, però, possono essere loro a riempire di contenuto il vuoto di legittimità a causa del quale si sta diffondendo il populismo. In particolare la loro iniziativa può risultare perniciosa se vuole combattere posizioni politiche perfettamente democratiche partendo da una legittimità fragile e indiretta.

Lo scetticismo, sino ad ora il nemico da combattere per i sostenitori di un’Europa unita, ha mostrato di essere una componente importante nel dibattito europeo. Se gli fosse stato dato un maggiore spazio nei dibattiti fondamentali dei decenni scorsi, forse si sarebbero potuti evitare alcuni errori del progetto di integrazione, risparmiandoci parte della turbolenza attuale?

Più che prendersela con i populisti e gli euroscettici, i politici dell’Ue dovrebbero occuparsi di togliere legittimità alle loro critiche migliorando la qualità democratica del sistema. Non sarebbe una buona idea, alla lunga, che noi cittadini democratici dovessimo ridurci a scegliere tra populisti eletti o tecnocrati europeisti.

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