I media italiani non si distinguono per il gusto di approfondire e spiegare fenomeni o situazioni complesse. Ne derivano, tra le altre, due conseguenze deteriori: la personalizzazione delle posizioni politiche (un misto di gossip e caudillismo sudamericano) e lo scadimento della discussione sul merito delle politiche economiche a beghe da derby stracittadino.

Non sorprende che un certo numero di lettori e telespettatori si senta affrancato dalla fatica di esaminare le questioni economiche nel merito e giudica in base all’alveo mentale scavato da un’informazione mediocre o settaria. Da quando si è acuita la crisi (che in Italia dura dal 1991, non dal 2008) è stata attizzata una tifoseria di sedicenti “keynesiani” contrapposta ad un fantomatico pensiero unico neoliberista. Negli interstizi sono pure spuntate sette di fanatici allucinati come i signoraggisti, gli adepti delle Bungalire (la Modern Monetary Theory), o chi vuole ripudiare il debito pubblico.

Chi conosce la teoria economica (non la caricatura riportata su giornali e televisioni) sa che questa contrapposizione si era stemperata da almeno 25 anni. Per di più, chi si occupa di politica economica sul campo (non nelle piazze) ha adottato un approccio pragmatico privo di paraocchi ideologici. Rimangono sacche di talebani, come le conventicole dei vari Krugman e Stiglitz (ormai attivisti politici) o, sull’altro versante, “libertarian” e nostalgici del gold standard.

Molti a cui viene rotto il giocattolo ideologico dissentiranno con veemenza da questa visione vagamente “ecumenica”. Allora eccovi lo strano caso del prof. Riccardo Realfonzo, portabandiera della scuola cosiddetta keynesiana in Italia, dal fulgido pedigree di sinistra. Fu Assessore al Bilancio nella giunta Iervolino e si dimise dopo poco meno di un anno, fatto fuori dalle cosche bassoliniane intente a spolpare Napoli e la Campania in combutta con la camorra dei casalesi e i vari potentati alla Cosentino.

Poi Realfonzo ritornó nella giunta comunale di Napoli nominato da De Magistris a cui aveva scritto il programma elettorale ma è stato esautorato anche dal nuovo Sindaco. In un’intervista a Radio 24 il 24 luglio scorso (stessi punti sono stati  ripetuti al FQ il 31 luglio) ecco come descrive la sua azione:

“Purtroppo una volta entrati nella gestione, nell’amministrazione cittadina, io naturalmente gli [al sindaco De Magistris] ho riproposto la mia impostazione, cioé gli ho detto molto chiaramente che il Comune di Napoli era sull’orlo del dissesto e che o si intraprendeva la strada del dissesto, quindi facendo un’operazione molto chiara e trasparente oppure con un’operazione altrettanto chiara e trasparente di verità rispetto alle amministrazioni del passato si prendeva la strada di misure molto incisive, molto serie, che prevedevano una serie di tagli di spese inutili, una serie di interventi molto radicali sulle società partecipate, una serie di reimpostazioni di riorganizzazioni della macchina comunale. Quindi, il dissesto oppure la strada incisiva del mettere mano agli sprechi, alle clientele del passato e azzerare tutto. Purtroppo il Sindaco rispetto a queste due alternative – che appunto facevano i conti in maniera molto trasparente con gli errori del passato – ha scartato la strada del dissesto peró poi di fatto non ha sostenuto nemmeno la strada del risanamento con azioni incisive”.

Avete letto? Tagli di spese inutili, misure molto incisive, riorganizzazione della macchina comunale. Quando scrivo cose simili, grandinano commenti sulle turpitudini del neoliberismo. Ma continuiamo con le parole dell’ex assessore di De Magistris:

“Io ho fatto una serie di azioni di risamento molto forti […] peró con conflitti estenuanti e […] in misura non adeguata, non sufficienti.” Insomma andava intesificata questa opera di risanamento. Invece De Magistris a caccia di consensi facili lo blocca. Realfonzo afferma che il Sindaco pretendeva “creatività” nel bilancio. Ecco come risponde Realfonzo a questa impostazione tremontian-berlusconiana:

“La fantasia, la creatività dei conti è quella che naturalmente ci ha portato, ha portato il sistema del nostro paese nella situazione in cui si trova. Purtroppo la politica rispetto ai tempi delle operazioni economico-finanziarie – che sono delle volte lunghi o comunque non sono quelli della settimana o del mese e magari probabilmente nemmeno solo dell’anno – la politica delle volte non ci sta. Allora nel caso del Mezzogiorno noi abbiamo avuto gestioni clientelari nel passato. Nell’epoca in cui il vincolo del bilancio non era così stretto come oggi, i fondi pubblici venivano utilizzati per comprare i voti e per comprare il consenso. E purtroppo adesso che almeno nel caso della città di Napoli si era profilata una straordinaria occasione, pare che i tempi della politica ancora una volta siano tempi stretti. Si preferisce il consenso immediato, si preferisce il consenso popolare alle politiche di fondo, quelle che aggrediscono i nodi di fondo, i nodi del bilancio, i nodi dell’organizzazione del Comune, delle partecipate ma che hanno bisogno di tempi più lunghi, sono queste le politiche che dànno le risposte serie ai cittadini, che dànno le risposte vere. La politica deve essere preparata per poter mettere in campo questo tipo di risposte e purtroppo qui il problema non è destra o sinistra, perché la buona amministrazione non è né di destra né di sinistra. La buona amministrazione deve fare i conti con i vincoli dei bilanci, con la qualitá, l’efficientamento dei servizi, con quelli che sono gli interessi dei cittadini. Indubbiamente purtroppo io di stagioni politiche ne ho viste diverse, e trovo difficoltà nelle insufficienze del sistema della politica in maniera ripetuta e per ragioni diverse”.

Come rimarco in quasi tutti i miei post (e nelle risposte ai vostri commenti) anche per Realfonzo sussiste un problema fondamentale: fondi pubblici usati per comprare voti, che non hanno nulla a che vedere con Keynes. Sono un problema di etica pubblica prima che di politica economica. Peccato che un magistrato soi-disant anti casta, da Sindaco, abbia imboccato la china democristian-bassoliniana.

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