Era Angelo Angelotti, 61 anni, per anni ai vertici della banda della Magliana, il rapinatore ucciso oggi all’alba durante il conflitto a fuoco con i due gioiellieri romani, scaturito da una tentata rapina. Non era un gregario qualsiasi, ma un pezzo storico del gruppo criminale della capitale che forse troppo presto era stato dichiarato sconfitto.

Il nome di Angelotti è direttamente collegato con la morte di Enrico De Pedis, detto Renatino, il boss sepolto all’interno della basilica di Sant’Apollinare a Roma, il cui nome è stato recentemente legato – per ora senza riscontri – alla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Secondo i magistrati fu Angelo Angelotti ad attirare il 2 febbraio del 1990 De Pedis in una trappola, chiamandolo per un appuntamento nella sua bottega di antiquario in via del Pellegrino, a pochi passi dalla centralissima piazza Campo de’ Fiori. Il rapinatore ucciso questa mattina era legato alla fazione dei maglianesi guidata da Marcello Colafigli, contrapposta ai testaccini (dal nome del quartiere Testaccio) di De Pedis, vera mente imprenditoriale della banda che era riuscito a far fruttare i soldi delle attività criminali attraverso diverse imprese apparentemente pulite.

Tre anni dopo l’agguato mortale contro Enrico De Pedis Angelotti venne arrestato dai carabinieri di Frascati per un traffico internazionale di eroina, diretta sulla piazza romana di Tor Bella Monaca. Nel 1994 fu accusato insieme ad alcuni esponenti dei Nar di aver importato degli stupefacenti dall’Albania, dalla Macedonia, dall’Ungheria e dalla Turchia.

Nel 1998 i carabinieri di Roma lo fermano quando stava per fuggire in America Latina, pochi mesi prima della decisione della Cassazione sul processo per associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di droga che lo aveva visto imputato. Una sentenza che sarà alla fine favorevole per Angelotti, con l’annullamento della pena. Dopo pochi mesi scattano però di nuovo le manette, con l’accusa di essere l’assassino di un altro membro della banda della Magliana, Roberto Abbatino, commerciante di oggetti sacri ucciso nel marzo del 1990 con una coltellata al cuore. Durante la conferenza stampa seguita all’arresto il comandante del nucleo operativo dei carabinieri di Roma, Paolo La Forgia, commentò con preoccupazione: “Negli ultimi mesi c’è stato un rigurgito dell’attività criminale di esponenti di spicco della banda perché alcuni di loro, nonostante detenuti, sono riusciti a riprendere le fila di settori più remunerativi e a rimettere sulla piazza loro adepti”. Poco dopo partiva una nuova indagine – siamo già nel 2000 – su ritorno della banda della Magliana, che puntava al gioco d’azzardo come potente macchina per il riciclaggio dei soldi del narcotraffico. Oggi l’ultimo “colpo grosso”, finito tragicamente.

Hanno un curriculum criminale di peso anche i due rapinatori rimasti feriti. Stefano Pompili, originario di Bellegra, 50 anni, rintracciato qualche ora fa in un ospedale romano, era stato condannato alla fine degli anni Novanta a 23 anni di reclusione per l’omicidio del gioielliere fiorentino Carlo Barducci, avvenuto il 20 dicembre del 1992. Pompili, secondo la squadra mobile di Roma, era stato affidato ai servizi sociali per terminare di scontare la pena residua.

Ha precedenti per rapina anche il terzo componente della banda. Si chiama Giulio Valente, romano di 45 anni, condannato a Genova per un tentativo di rapina ad un ufficio postale, con diversi precedenti per furti, truffa e associazione per delinquere.

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