Ogni tanto accade qualche cosa che mi fa tornare a sperare nel futuro.

Dopo le dichiarazioni confuse sugli Ogm del ministro Clini, di cui vi avevo già raccontato, ho letto sul Corriere della Sera un pezzo del Prof. Gianattasio, docente di “Alimenti e salute del consumatore” all’Università di Padova. Purtroppo invece di fare chiarezza, come promette nel titolo, l’articolo aggiunge solo confusione a confusione: dice cose errate, usa trucchi retorici, mostra di non conoscere bene l’argomento che pretende di trattare e ci mette anche un po’ di ideologia. Tutto il contrario da quello che ci si aspetterebbe da un uomo di scienza, e da un articolo del Corriere. Il fatto poi che il Prof. sia un “credente” nell’agricoltura Biodinamica® (per chi non lo sapesse in pratica è esoterismo e astrologia applicata all’agricoltura) mi ha reso il caffè della mattina particolarmente indigesto.

Nei giorni successivi stavo pensando di scrivere al Corriere per spiegare ad esempio, al contrario di quanto sostiene il Prof. Gianattasio, perché ha molto senso accostare concettualmente gli Ogm ai vegetali che mangiamo prodotti da mutazioni indotte da radiazioni, e quindi non si capisce perché se una persona avversa i primi non sia contraria anche ai secondi (tralasciando la banale argomentazione che “le radiazioni sono naturali“). Oppure per aggiornarlo sul Golden Rice, altro argomento in cui il Prof. non pareva avere informazioni accurate.

Non so se il Corriere avrebbe mai pubblicato una mia risposta ma il caso vuole che per email io riceva una lettera aperta al Prof. Gianattasio e al suo articolo da parte di uno studente.

L’ho letta e ho deciso che valesse la pena farla leggere anche ad altri. Ecco, se uno studente dopo aver letto un articolo trova la voglia di scrivere una risposta, “bacchettando” un Prof. per le sue inesattezze, allora vuol dire che non tutto è perduto nel sistema educativo italiano. Quindi, come si dice in questi casi, “ricevo e volentieri pubblico”. Buona lettura.

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Da ormai qualche settimana è tornato dirompente, tra le pagine dei giornali e su internet, l’argomento spinoso degli Ogm che è stato fonte, in seguito alle dichiarazioni confusionarie del ministro Clini, di commenti e risposte ancora più confuse e tremendamente ideologiche. C’è chi, come il professore M. Giannattasio dell’Università di Padova, ha cercato di fare un po’ di chiarezza, cadendo però in inesattezze abbastanza evidenti, senza riuscire a favorire quella riflessione che serve al paese e alla nostra agricoltura per avere una posizione sensata sugli Ogm.

Innazitutto si cita l’infelice frase di Clini in cui non chiarisce cosa siano l’ingegneria genetica (da cui derivano gli Ogm) e le tecniche convenzionali come incroci e mutagenesi, sostenendo che queste ultime, a differenza degli Ogm, “non introducono geni estranei nell’organismo su cui si opera”; questo è evidentemente sbagliato sia perchè gli Ogm si possono produrre anche aggiungendo, regolando o “togliendo” geni dell’organismo stesso, sia perché gli incroci determinano per definizione un rimescolamento di geni tra varietà o specie diverse. Inoltre la modifica del genoma ottenuta per mutagenesi (e anche quella attraverso incroci) è radicalmente più profonda e “rischiosa” di quella che si ottiene attraverso l’ingegneria genetica: immaginate di avere un libro, nel primo caso mescolare tra loro tutte le pagine, nel secondo vi limitate a modificare poche parole.

Per la legge, Ogm sono solo quegli organismi che sono stati modificati attraverso tecniche di ingegneria genetica; quindi, sempre per la legge, un organismo modificato con altre tecniche tradizionali, anche se più invasive, non è un Ogm.

Va ricordato che le tecniche “tradizionali”, nonostante rievochino l’immagine romantica del contadino che zappa, non comprendono solo gli incroci, ma anche tecniche come la mutagenesi chimica o fisica (radiazioni) che vengono utilizzate da poche decine di anni.
E’ però fondamentale capire che non è la tecnica utilizzata che ci dice se un prodotto è buono o cattivo (così come un compito in classe non è buono o cattivo in base a chi lo scrive), ma saranno le analisi e i controlli a determinare la sicurezza di un alimento; controlli che per gli Ogm sono enormemente più stringenti, a volte perfino esagerati, rispetto a quelli previsti per qualsiasi altro prodotto, che sarà anche “convenzionale”, ma pur sempre modificato.

Il professore poi, invece di invitare ad avere una posizione razionale che si basi su prove e dati oggettivi, gioca sul fattore emotivo facendo passare il messaggio secondo cui non bisogna preoccuparsi della mutagenesi non tanto perché sia sicura, ma unicamente perché la legge non definisce come Ogm i prodotti da essa derivati. Come dire: “se avete paura degli OGM state tranquilli… questa non è roba transgenica”. Ora immaginate che per un artifizio legislativo (perché di questo si tratta) il San Marzano rientrasse tra gli OGM: cambierebbe forse il suo gusto? diventerebbe improvvisamente pericoloso? No, eppure chi si oppone agli Ogm, che ha speso negli anni così tante energie per convincere il consumatore medio a non volere, a priori, gli Ogm, si è subito affrettato, dopo le dichiarazioni di Clini, a difendere i “suoi” prodotti paventando un fantomatico crollo dei consumi.
Il grosso problema è che il consumatore è stato convinto, a suon di spot e campagne, che gli Ogm siano sinonimo di scarsa qualità, di malignità, di “schifezza”, indipendentemente dalle sue caratteristiche, dalle sue potenzialità e da chi lo ha realizzato.

Questa paura, inculcata a forza nei consumatori, è purtroppo utilizzata da tanti personaggi di rilievo per “dimostrare” che si fa bene ad essere contrari agli OGM, perché la gente non li vuole. Evitando quindi una discussione sul merito.

Per quanto riguarda la rivoluzione verde è vero che, assieme a enormi benefici, ha sicuramente portato anche a problemi quali l’usurpazione e uso eccessivo delle terre, una ingiusta distribuzione di cibo, beni e risorse, ma è una colpa che non si può attribuire alla scienza, semmai a chi questa rivoluzione l’ha portata avanti e come (oltre al fatto che citare un aumento di 200 milioni di affamati nel mondo, quando la popolazione globale è aumentata di circa 4 miliardi non ha grande senso).
Stesso discorso andrebbe fatto riguardo la biodiversità: nel corso degli ultimi secoli, e in particolare nell’ultimo, abbiamo ridotto drasticamente il numero di colture da cui traiamo sostentamento e molte di queste si sono perse. Nonostante ciò rappresenti un danno, non si capisce cosa c’entrino gli Ogm.

Ogni coltura Gm attualmente impiegata (soia, mais, colza, cotone) presenta migliaia di varietà Gm diverse, e la modifica genetica può benissimo essere utilizzata per migliorare le stesse varietà locali, consentendo di rispolverare colture antiche, anche italiane, ormai inutilizzate (ma non per questo meno apprezzabili) abbandonate per scarsa produttività o eccessiva suscettibilità a specifiche malattie.

Il fatto di poter far produrre alla pianta determinate sostanze (innocue per l’uomo) che la proteggano “naturalmente” dall’attacco ad esempio degli insetti, come nel caso del Bt, è una strada per evitare di spargere enormi quantità di composti chimici (la gran parte dei quali verrebbero persi) con vantaggio oltre che di resa e costi, anche per l’ambiente, per organismi non target e contadini grazie a un’esposizione minore e molto più confinata. Certo, anche gli Ogm, essendo colture come tutte le altre, possono registrare la comparsa di resistenze, ma è la buona pratica agricola unita all’intelligenza del contadino che deve tentare di ridurre al minimo questa possibilità.

Le frasi citate di Boncinelli e Buiatti non sono, francamente, molto significative (la prima “In teoria non c’è alcuna possibilità che nuocciano” sembra un’introduzione a un discorso, la seconda secondo cui il “trasferimento di geni tra organismi anche molto diversi l’uno dall’altro, richiede una particolare attenzione” nulla sembra aggiungere al discorso), mentre è tragico e paradossale che ci si preoccupi della “complessità delle interazioni tra i geni di cui non si ha ancora completa conoscenza” unicamente nella produzione di Ogm (che comunque sono studiati con grande raffinatezza), senza porsi lo stesso problema per tutte le colture, ormai indispensabili, che abbiamo ottenuto creando mutazioni su mutazioni a caso, senza alcun controllo, nella semplice speranza di veder crescere qualcosa dalle sembianze e gusto “normali”.

Per quanto riguarda il miglioramento qualitativo, mi stupisco di come si possa non cogliere un concetto banale: è evidente che un alimento arricchito, ad esempio, in vitamine abbia una scarsa rilevanza in paesi come il nostro dove siamo abituati ad avere a disposizione ogni tipo di prodotto sempre e subito.
Molto diversa è la situazione in paesi in via di sviluppo dove larghe fasce della popolazione hanno accesso a ben altre diete; nel caso del golden rice II, ad esempio (non ancora distribuibile, ma non certo perché il prodotto non sia pronto), basta una normale porzione di riso per assumere la quantità di vitamina A necessaria a evitare effetti negativi sulla salute. A questo proposito l’ingegneria genetica può essere sfruttata anche per migliorare colture di base come la cassava, diminuendo i composti tossici naturalmente presenti che, se assunti con regolarità, possono portare a gravi difetti e malformazioni.

A sostegno dell’opposizione agli Ogm si citano poi “eccessive concimazioni azotate” che “se gestite scriteriatamente” provocano danni all’agricoltura e alla qualità dei prodotti: ma perché, ancora una volta, si associa a una condotta “sbagliata”, ed eventualmente da correggere, l’introduzione degli Ogm? Dov’è il collegamento?
La sensatezza è la base di ogni attività umana, non solo dell’agricoltura, senza di essa qualsiasi tecnologia risulta fallimentare per definizione.

In calce si citano la fisiologia vegetale, la genetica classica e altre materie scientifiche come possibili rami utili per fare un’agricoltura di qualità; peccato che nessun biotecnologo abbia mai messo in contrapposizione le tecnologie dell’ingegneria genetica con queste discipline, ma semmai è la collaborazione tra di esse a dare i migliori risultati (anche perché non vedo come un biotecnologo che lavora sugli Ogm possa non considerare la genetica o la fisiologia vegetale). Nella scienza non dovrebbero esistere tifoserie, ma complementarietà.

L’Italia dovrebbe capire che gli Ogm non sono una sostituzione di vecchi regimi alimentari, nè sono una minaccia per il made in Italy, ma possono, laddove se ne vede l’utilità, diventare un utile complemento (e non solo nel settore vegetale o alimentare), anche perché sono solo frutto di una tecnica da applicare, per cui è la ragionevolezza di chi l’adopera a dover essere valutata. La situazione italiana invece vede un fronte di anti-Ogm per principio che, partendo da una scarsa conoscenza scientifica e usando lo spauracchio delle multinazionali (che con o senza Ogm già dominano l’agricoltura italiana e mondiale) per attaccare gli Ogm in toto.
Peccato che questo serva solo a generare paura e ignoranza e a squalificare enti e università pubbliche che sono costretti a chiudere le loro linee di ricerca a causa di costi di approvazione assurdi (cresciuti più per paura che per reale necessità) lasciando il campo libero proprio alle multinazionali che si vorrebbero combattere.
Il futuro della ricerca e dell’agricoltura nasce da un ampio dibattito, ma deve essere fondato sulla correttezza scientifica e deve evitare muri ideologici. La guerra non serve a nessuno.

Federico Baglioni, laureato (triennale) nel 2010 in Biotecnologie industriali e ambientali all’Università degli Studi di Milano e iscritto al secondo anno di laurea specialistica in Biotecnologie molecolari e bioinformatica presso l’Università degli studi di Milano.

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