Hanno sfilato per le vie di Cagliari questa mattina per rivendicare il diritto al lavoro che in Sardegna, più che altrove, sembra una chimera. E per chiedere al governo, con urgenza, l’impegno verso l’isola assunto anche dal presidente della Repubblica Napolitano qualche settimana fa. Erano in 20mila secondo le organizzazioni sindacali, qualche migliaio in meno secondo la questura, tra striscioni, bandiere delle sigle confederali e quelle, immancabili, con i quattro mori. È il secondo sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil in quattro mesi: l’industria isolana continua a perdere pezzi, l’agricoltura è ridotta alla sussistenza. Si cerca di portare all’attenzione del governo di Roma la vertenza isolana ma con un dito puntato anche contro la politica della giunta Cappellacci (Pdl) accusata di immobilismo.

E così i segretari regionali Enzo Costa (Cgil), Mario Medde (Cisl), Francesca Ticca (Uil) hanno chiesto e chiedono “il riconoscimento da parte del governo dello status di insularità, il rafforzamento delle infrastrutture materiali e immateriali, la continuità territoriale delle persone e delle merci, il potenziamento del sistema agroindustriale sardo”. Tutti uniti nella lotta, quindi, ma quando a mezzogiorno e mezzo sul palco di piazza del Carmine inizia a parlare il segretario nazionale della Uil, Luigi Angeletti, allora partono i fischi dalla piazza. Arrivano soprattutto da alcuni operai dell’Alcoa, caschetto in testa, con le scritte che ricordano le innumerevoli manifestazioni in traferta, a Roma. Per i 500 dipendenti della fabbrica di alluminio di Portovesme la doccia fredda è arrivata a dicembre: la multinazionale americana vuole chiudere. Tre le manifestazioni di interesse ancora al vaglio del ministero dello Sviluppo mentre i giorni passano e la scadenza si fa più vicina.

I dati. I numeri della crisi sarda sono drammatici: secondo i sindacati in quattro anni si sono persi 30mila posti di lavoro, attualmente in 100mila beneficiano di ammortizzatori sociali (soprattutto cassa integrazione) su una forza lavoro di meno di 600mila unità, e ci sono 50mila giovani, spesso laureati, senza nessun sostegno al reddito. I settori che risentono di più sono quelli dell’industria di base, soprattutto la chimica. E l’edilizia che ha perso dal 2008 quasi la metà degli addetti, oltre il 40 per cento. Da Porto Torres al Sulcis passando per il polo di Ottana, nel Nuorese, è uno stillicidio di capannoni vuoti, macchinari fermi e di gente che va avanti con gli assegni, o con le pensioni degli anziani. E non stupisce che le persone che vivono sotto la soglia di povertà siano 400mila, mentre il tasso di disoccupazione si attesta sul 14 per cento, quasi 5 punti percentuali sopra il dato nazionale fermo al 9,2 per cento secondo la rilevazione Istat di marzo.

Il corteo. Ad aprire il serpentone colorato le donne di Samugheo con un enorme striscione per la cooperante rapita Rossella Urru. In marcia i cassintegrati del Sulcis Iglesiente, i sindaci con la fascia tricolore, pensionati, i precari dei Centri per l’impiego e pure gli indipendentisti dell’Irs. Un corteo pacifico che ha sfilato davanti al consiglio regionale di via Roma, dove a un certo punto, è partito il blitz dei manifestanti Alcoa che hanno battuto i loro caschetti sulle vetrate dell’ingresso. Cinque minuti rumorosi e poi di nuovo in marcia ritmata dalla cantilena: “Cappellacci dove sei? Cappellacci dove sei?”.

Le voci. C’è chi ha fatto anche 300 chilometri per essere a Cagliari di mattina, come il piccolo gruppo della Vinyls, da Porto Torres. Quelli della nota protesta dell’Isola dei cassintegrati, con tanto di presidio all’Asinara, ormai smantellato. Sono rimasti in cento circa, molti sono emigrati, o hanno trovato altro. La lora è una cassa integrazione straordinaria e lavorano allo svuotamento degli impianti, ossia alla dismissione. Tra loro c’è anche Piergianni Rais, rappresentante Ugl, qui a titolo personale: “C’è molta delusione anche tra chi ha sempre lottato, per noi solo promesse e nessun acquirente. La paura di tutti, ora, è che si arrivi a una soglia di sicurezza e poi ci lascino davvero a casa”.

Qualche volto dietro gli striscioni è conosciuto: ad animare un tratto c’è anche Antonello Pirotto dell’Eurallumina che ha zittito il leghista Castelli durante il programma Servizio Pubblico. Ci sono le giovani donne dell’Asafil di Macomer, 28 in tutto, che producevano filato. “Siamo senza stipendio da dicembre – dicono – e ieri l’Inps ci ha bocciato la cassa integrazione”. E ancora chi è in mobiltà, come Nunzio Strina, 53 anni, da gennaio riceve l’assegno di mobilità, 635 euro al mese. Lavorava per la Rockwool da 15 anni, prima è stato minatore, ma gli anni di sottosuolo non bastano per andare in pensione. E quindi manifesta, a dicembre con i colleghi ha occupato la galleria della miniera di Iglesias e lì davanti c’è un bus dove a turno mantengono un sit-in permanente: “Lì dentro abbiamo festeggiato anche la laurea di mio figlio”.

Tra tanti dipendenti ci sono poi i singoli: Barbara Atzeni, 31 anni, gira con la bandiera dei 4 mori sulle spalle e un cartello bianco davanti, c’è scritto “Non so rubare, come faccio a campare? Fatemi lavorare”. È di Assemini, paese dell’hinterland cagliaritano: “Lavoravo in una mensa, facevo l’autista di un furgone. Mi sono ammalata alla guida e ora non servo più, mi hanno mandato in ferie per due mesi e al mio posto c’è un altro”. Il suo era un contratto a tempo determinato, tre ore di lavoro per 400 euro al mese, e presto scadrà. “Una miseria – dice- un continuo accontentarsi. Trovare altro? Impossibile, l’unica soluzione è partire”.

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