Sono stata ad un incontro organizzato da “Women for Obama 2012”. Quando mi sono trasferita a New York e non conoscevo nessuno, fare la volontaria per Barack Obama, allora candidato alle primarie contro Hillary Clinton, mi aiuto’ molto a fare “amicizia” con la citta’ dove avevo scelto di ricominciare a vivere. Cosi’, sono tornata, per capire di piu’ questa campagna elettorale, le tematiche e gli umori.

Ed e’ stata una bella serata in cui ti ricordi perche’ le donne dovrebbero essere sempre parte integrante della vita politica e sociale del paese: perche’ loro sono il perno intorno al quale ruotano le famiglie. Molte di loro erano alla riunione, disposte a lavorare in un contesto politico per la prima volta per tre motivi ricorrenti: la riforma sanitaria, ancora imperfetta, ma che aveva perlomeno consentito ai loro figli diciottenni di non perdere l’assistenza come sarebbe avvenuto prima. Ho scoperto anche, con gioia, che non e’ solo il Massachusetts ad avere l’assistenza sanitaria garantita a tutti ma anche il piccolo, meraviglioso Vermont.
La seconda istanza per la quale le donne erano li’ a sostenere Obama era l’educazione e la necessita’ di veder garantita ai loro figli la possibilita’ di perseguire un’educazione qualificata e in sintonia con le proprie aspirazioni. Aspirazioni, poi, che qui possono trovare sbocco grazie a quel meraviglioso principio, da noi inesistente, che si chiama meritocrazia.
La terza motivazione era che i Repubblicani attuali fanno paura e che la loro vittoria cancellerebbe diritti acquisiti dalle donne, non in quanto tali ma in quanto esseri umani, negli ultimi decenni. I Repubblicani (una donna di circa settant’anni ex Repubblicana si diceva “umiliata” dall’infimo livello raggiunto dal partito) stanno giocando la loro partita sulla pelle delle donne alle quali vogliono negare servizi indispensabili come mammografie e pap test, obbligandole invece ad esami invasivi e non necessari come l’ecografia transvaginale prima di un aborto. Una proposta cosi mortificante e violenta contro le donne che da sola dovrebbe spingere gli americani civili a non votare per i Repubblicani. Tornando a casa mi sono sentita ottimista.

Il ministo Severino guadagna 7 milioni di euro all’anno e non se ne vergogna. E fa bene. Fa bene perche’ ha lavorato sodo per arrivare alla sua posizione e, soprattutto, perche’ paga le tasse. Non comprendo lo scandalo. Innanzitutto, non sappiamo quanto guadagnassero gli altri prima. Non voglio nemmeno pensare che la cosa dia fastidio perche’ il Ministro e’ una donna. Certo e’ frustrante pensare che invece c’e’ chi non arriva a fine mese ma l’Italia, che mi risulti, e’ un paese a sistema capitalista e non socialista. Un paese dove il partito Comunista (che io ho votato) non ha mai governato e dove abbiamo avuto come presidente, per 17 anni, un uomo che era li’ solo per proteggere le sue ricchezze ben piu’ abbondanti di quelle del Ministro Severino. E, aggiungo, che tanta parte di italiani lo ha votato (e amato) proprio per quello. Ora, l’unica mia obiezione (e non diretta al Ministro) e’ che, in un paese civile, a sistema capitalista (lo so qualcuno potrebbe obiettare che capitalismo e civilta’ non stanno bene insieme ma tant’e’), dovrebbero essere offerte a tutti le stesse possibilita’ di arrivare a livelli importanti con il proprio lavoro. Traduco: in Italia dovrebbe esistere un sistema meritocratico per cui chi come il Ministro Severino fa sacrifici per studiare ed ha le qualita’ possa arrivare dove merita. In Italia, invece, le intelligenze vengono quasi sempre, umiliate, offese e mortificate a vantaggio di chi ha quelle cose volgari e mafiose che si chiamano “conoscenze”.

Mi e’ arrivato ieri per posta un libro, scritto sa Cinzia Dato e Silvana Prosperi, che si chiama Goodbye Italia – La Repubblica che ripudia il lavoro delle donne. Racconta storie di donne che, con sacrificio, hanno scelto di lasciare l’Italia semplicemente per lavorare in maniera dignitosa. Fra le storie c’e’ anche la mia, ma questo non conta molto. Conta il lungo elenco di nomi. Troppo lungo per un paese civile.

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