“L’ho querelato e adesso, le giuro, querelo pure lei. Il mio nome non deve apparire. Non lo scriva, non butti giù una sola riga. Lo ha già fatto, quello di cine, di cine… vabbè non mi ricordo, ma non posso perdere tempo. Non posso denuncià dalla mattina alla sera giornali e giornalisti. Io De Matteo non lo conosco, non so chi sia, sicuramente non è stabile e in ogni caso, l’ho già strasegnalato per stalking. Questo non è giornalismo. E’ spazzatura. E mi dispiace, perché io sono un compagno, come Padellaro e Travaglio“.

Il signore che urla nella cornetta in avellinese stretto, attribuisce improbabili etichette politiche e chiama, richiama, e poi telefona ancora per impedire che lo si citi. Si chiama Peter Caruso, all’anagrafe Pietrino, di professione distributore cinematografico. Dopo una serie di acrobatici trapezismi e non prima di aver distribuito l’ultimo film di Dario Argento, “Giallo”, cambiandogli il titolo in “Giallo Argento”, utilizzando la sagoma di Hitchcock per il manifesto e una frase di lancio “Il maestro ha esaurito il rosso sangue” (che non esita a definire “genialissima”), ha acquistato i diritti di un film italiano premiato in tutta Europa. L’ha girato tre anni fa un regista di Roma, Ivano De Matteo.

Ha coinvolto Elio Germano, Monica Guerritore, Antonio Catania e una ragazza ucraina, Victoria Larchenko che la stampa straniera ha deciso di omaggiare con il “Globo d’Oro”. Ma al di là di Ventimiglia, de “La bella gente” incoronato in una decina di festival tra Parigi, Annecy e Villerupt, quattro mesi nelle sale francesi, non sa niente nessuno. Seduto al tavolo di un bar trasteverino, l’artefice dell’opera, il 46enne De Matteo, ha gli occhi smarriti del Gregor Samsa di Kafka. Parla con trattenuto ordine, mostra documenti del Mibac, racconta dei complicati incroci dialogici con Caruso: “Un giorno mi ha chiamato urlando: ‘Sono Peter il guerriero, il tuo distributore. Usciremo in 1.000 sale, faremo 10 milioni di euro, Elio Germano è il mio Maradona’ però poi, nella pratica, ha bloccato ogni iniziativa tesa a far uscire ‘La bella gente'”.

Qualche giorno fa, in un inconsulto atto di disobbedienza civile, per mostrare il film agli occupanti del Teatro Valle, De Matteo ha sfidato i carabinieri mandati da Caruso. Pietrino detiene i diritti di utilizzazione economica dell’opera e nonostante sull’accordo stipulato tra la Lumière group di Caruso e la società produttrice, la X film di Guglielmo Ariè e Guido Servino, il ministero di Giancarlo Galan abbia vergato parole chiare a fine maggio (“E’ nullo e inefficace per la sostanziale inaffidabilità dell’impresa di distribuzione”) ‘La bella gente’ sembra destinato a rimanere prigioniero. Il ministero, che ha finanziato con denaro pubblico (450.000 euro) può rivalersi solo sul produttore. Costringerlo a restituire, come dettano le regole, i soldi anticipati nell’arco di 60 giorni, ma procedere in questo senso significherebbe decretare il probabile fallimento di X film e la sepoltura definitiva dell’opera.

De Matteo (retribuito con 15.000 euro lordi pagabili in due anni) è affranto: “E’ una vicenda incredibile, la Lumière group non esiste. Il suo sito Internet rimanda a una finanziaria olandese che afferma di non aver mai sentito nominare Caruso. Del capitale sociale, pari a 25.000 euro, è stato versato nelle casse meno di un terzo”. A dare un’occhiata più prossima, la Lumière, come recita la lettera del ministero “non risulta possedere le capacità minime per distribuire il film (…) 200.000 euro per il mercato italiano, 30.000 per quello estero”. L’ultimo bilancio depositato è del 2008. La disponibilità liquida era di circa 12.000 euro, il valore della produzione di 5.000. Cifre apparentemente distanti dalla ragione sociale (attività di produzione cinematografica che può spingersi fino all’apertura di una sala Bingo).

Caruso però non si dà pace: “De Matteo è malato. Non gli funziona il cervello. Non so se dopo la denuncia dovrò passare a tagliare qualche testa”. Se gli domandi se si tratti di una minaccia, si copre dietro alle parole. Metafora, iperbole, figura retorica. Azzarda paragoni etnogeografici di dubbio gusto: “Le teste le mozzano in Sicilia, è solo un modo di dire”. Ci si muove tra l’Alberto Annovazzi di Walter Chiari in ‘Bellissima’ e il Marco Ravicchio di Gassman ne ‘Il Gaucho’ di Risi. Il cinema. Un certo cinema. Domandare a Pietrino Caruso qualcosa sulla Lumière Group o sul suo esotico portale web è come assistere a fuochi d’artificio di puro non sense: “Questo non glielo dico perché io non sono io”. Come? “Il mio sito non è quello. Non ho il negativo e non posso stampare le copie del film, ho solo un vecchio dvd, il truffato sono io”. E il sito? “Non glielo dico perché non glielo dico”. Perfetto. “Diciamo che è in lavorazione. Non ce l’ho, è un dramma? Lei ripete le bugie di quell’emerito cretino di De Matteo. I grandi fratelli Lumière sono patrimonio di tutti”.

Poi, dopo aver definito non teneramente la condotta del ministero – “Sono stati costretti a fare la lettera di annullamento del contratto distributivo, ma poi ho mandato i miei penalisti e si sono spaventati. Hanno cercato di fare cricca, ma che ci vuole fare? Questo è il Paese delle cricche” – si avventura sulle tracce di un epigono più celebre: “Ho speso migliaia di euro, ma non sono messo in condizioni di lavorare”. De Matteo la pensa diversamente. “Questo signore ha ucciso il mio film. A un certo punto stava per essere acquistato dall’Istituto Luce. Lui si è opposto. Un giorno si è presentato al Mibac con una locandina dal titolo alterato: Dio in cielo e la bella gente in terra. Caruso nega la deriva mistica, alza il tono della voce: “Io sono bravissimo a fare i manifesti, le pare che avrei fatto una cazzata del genere?”. Ride senza sosta: “De Matteo butta fango, ma la melma torna sempre indietro. Chiami il mio avvocato. Non scriva niente”. Prima che sia notte, ripeterà la richiesta tra le 10 e le 12 volte.

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