L’ultimo dossier di Greenpeace sulla bonifica dell’ex area industriale Sisas di Pioltello punta fin dal titolo direttamente al cuore del problema: “Il mistero dei rifiuti scomparsi”. Numeri che non tornano, codici d’identificazione delle scorie pericolose che cambiano passando dal porto di Genova a quello di Siviglia, con un saldo finale di migliaia di tonnellate di materiale pericoloso che, secondo l’associazione ambientalista, non è chiaro dove sia finito.

Sulla vicenda indaga da alcuni mesi la Procura di Milano, che aveva aperto un fascicolo a marzo dopo la presentazione del primo esposto di Greenpeace e la pubblicazione di una serie di reportage su il manifesto. Le prime indagini hanno portato a ipotizzare il versamento di una tangente di 700 mila euro da parte della società incaricata della bonifica, la Daneco Impianti di Francesco Colucci al commissario straordinario Luigi Pelaggi, ovvero chi ha materialmente seguito le procedure di gara e il progetto per conto del Ministero dell’Ambiente. Soldi che, secondo i magistrati, sarebbero stati pagati per evitare controlli troppo stringenti sull’operazione di bonifica, realizzata in grande velocità dalla Daneco per cercare di far evitare al governo italiano le sanzioni comunitarie.

L’organizzazione ecologista a distanza di quasi un anno dall’avvio della bonifica ha elaborato il saldo tra i materiali pericolosi usciti da Pioltello – in gran parte nerofumo contaminato da mercurio – e le notizie raccolte da marzo in poi sulle destinazioni finali di quelle scorie. Con due percorsi significativi: la via spagnola e la rete italiana.

Almeno 25 mila tonnellate di nerofumo intriso di mercurio e idrocarburi sono sicuramente finite in Andalusia tra il gennaio e il marzo scorso, trasportate via nave da Genova fino al porto fluviale di Siviglia. La discarica che ha ricevuto quelle terre contaminate da Pioltello, il sito di Nerva della società spagnola Befesa, è stata chiusa nei mesi scorsi. Il dossier aggiunge nuovi dettagli e documenti su questa via spagnola delle scorie, che parte da Milano, per finire in questo sito “senza essere sottoposte a nessun trattamento”, come si legge nello studio presentato ieri a Milano. L’area industriale di Pioltello in via di bonifica è altamente contaminata, con sostanze derivate dall’attività petrolchimica. Scorie tossiche, cancerogene, che hanno bisogno di una messa in sicurezza a regola d’arte. Il 7 marzo scorso la Daneco in un comunicato ufficiale affermava che la bonifica aveva riguardato 59 mila tonnellate di materiale, contraddicendo, secondo Greenpeace, la stima della precedente impresa incaricata della bonifica, la Sadi del gruppo Grossi, pari a 30,4 mila tonnellate. Ogni rifiuto ha poi bisogno di quella che tecnicamente si chiama “caratterizzazione”, ovvero l’analisi puntuale delle sostanze contenute, finalizzata ad individuare il tipo di smaltimento. Non tutto può finire, ad esempio, in discarica senza un adeguato trattamento.

Secondo Greenpeace, in questa fase qualcosa non ha funzionato. La Daneco a marzo affermava che nella grande maggioranza i rifiuti pericolosi erano classificabili con il codice 191301* (l’asterisco indica la pericolosità). E per l’associazione i conti non tornano: in un documento dell’autorità portuale di Siviglia presentato da Greenpeace si legge che lì sarebbe arrivato un rifiuto con tutt’altra classificazione, contraddistinta dal codice 061305. “Errore materiale o truffa?”, chiede l’associazione ambientalista.

Al di là dei tanti misteri sui codici che cambiano mentre attraversano il mare, rimane aperto il capitolo della destinazione finale dei veleni partiti dall’Italia. La discarica spagnola di Nerva – gestita dalla società Befesa – che ha accolto circa la metà dei rifiuti pericolosi di Pioltello – dato ammesso dalla stessa Daneco – è stata recentemente chiusa dopo due incendi che hanno colpito proprio le scorie italiane e dopo una serie di denunce partite dagli ecologisti spagnoli. Grazie ad un’ampia documentazione fotografica mai contestata dalla Daneco, Greenpeace Spagna e Ecologistas en Accion hanno dimostrato come le terre contaminate arrivate da Milano venissero sversate nell’invaso in piena Andalusia senza essere trattate. Una violazione chiara delle norme ambientali, alla fine riconosciuta anche dal governo andaluso, che ha disposto la chiusura del sito.

La seconda domanda che pone Greenpeace riguarda direttamente l’Italia. Circa 50 mila tonnellate di rifiuti pericolosi secondo Daneco sono state avviati ad impianti italiani, come risulta dalla comunicazione inviata all’associazione dal commissario Luigi Pelaggi. Secondo la denuncia di Greenpeace “da un rapido controllo risultava che alcune delle società che hanno ricevuto le scorie non gestiscono discariche di rifiuti pericolosi”. Si sarebbe dunque trattato di “stoccaggi provvisori e di semplici intermediari”. Terre contaminate alla fine sparite, volatilizzate, con un “destino finale che rimane tuttora sconosciuto”.

di Riccardo Gardel

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