Sabato mattina partirò per Liverpool per la conferenza del Labour Party.

Sarà sicuramente un momento importante per il partito laburista.

La situazione al momento in UK è drammatica. Da Aprile a Giugno il numero dei disoccupati è salito di 38.000 unità, raggiungendo quota 2.49 milioni, l’aumento più rapido negli ultimi due anni. A Luglio il sussidio di disoccupazione (Jobseeker’s Allowance) è stato richiesto da 37.100 persone in più rispetto al mese precedente, praticamente 1200 persone in più al giorno. Nello stesso periodo il numero di donne senza lavoro è aumentato di 21.000: la disoccupazione femminile non era così alta da 23 anni.

Una delle ragioni va cercata nei tagli selvaggi al settore pubblico, dove attualmente le donne rappresentano i due terzi della forza lavoro. La Fawcett Society, storica associazione femminista inglese, ha stimato nel 70% la percentuale di donne impiegate nel settore pubblico il cui lavoro è adesso a rischio.

I tagli al welfare, poi, si abbattono drammaticamente su chi già ha di meno. Si è addirittura parlato di “ethnic cleansing”, pulizia etnica, dal momento che molte famiglie meno abbienti saranno costrette a trasferirsi fuori dai centri urbani divenuti troppo costosi.

Il tutto nell’ambito di una economia più liberista, con meno protezione e più mercato. Una società già abbastanza classista, dunque, e non particolarmente dinamica in termini di mobilità verticale.

Non stupisce che ci sia un filo diretto tra i luoghi dove sono avvenute le rivolte e la povertà. Lo hanno detto in molti, ma a me pare chiaro che disagio sociale e povertà siano il naturale combustibile della violenza.

La risposta di Ed Miliband mi ha trovato perfettamente d’accordo: bollare le rivolte come atti criminali è ovvio, e non basta. C’è un motivo per cui una parte della popolazione ritiene di non avere posto nella società, e dunque non sente responsabilità per il bene comune o per i destini del proprio paese.

Il tema della responsibilità è centrale. Non si può chiedere ad alcuni di essere più responsabili di altri. Quel che è avvenuto nella finanza, dove pochi (maschi) hanno giocato d’azzardo con i destini dell’umanità, continuando nel frattempo a percepire stipendi elevatissimi, dimostra i danni prodotti da una società dove dislivelli estremi di ricchezza non si incrociano mai, conducendo vite di fatto parallele. Ha fatto dunque bene Ed Miliband a chiedere responsabilità “from top to the bottom”, in una grande partecipazione collettiva al futuro del paese.

Di questo si parlerà molto a Liverpool.

Il Labour Party sta certamente attraversando un dibattito assai vivace in termini politici e culturali. Il vero tema è la discussione della propria identità di partito a sinistra, nel 2011. Il laburismo è cosa diversa dal socialismo e dalla sinistra “continentale”. Forse per questo è stato sempre avanguardia, come lo fu il Blairismo del 1997, la famosa Terza Via. Eppure quelli erano altri tempi: anni ricchi, di crescita economica, di strapotere della finanza, ottimismo e sviluppo.

Quel che è avvenuto dopo, l’errore drammatico della guerra irachena, la crisi finanziaria, insieme all’ascesa delle nazioni BRIC, rende il Blairismo a mio parere obsoleto.

Ed Miliband è un trasformatore, un leader di talento che ha l’ambizione di ristrutturare il partito e il modo in cui interpretare e cambiare la società. Per questo il dibattito nel partito è straordinariamente appassionante. Sono infatti in discussione i temi che sono il cuore dell’identità della sinistra. Uno fra tutti, lo Stato. L’Old Labour era centralista e statalista, mentre il New Labour si era affidato sempre di più al potere auto-regolatore della finanza, come sostegno di adeguati ammortizzatori sociali.

Tuttavia, quando – come adesso – le risorse sono meno per tutti, e il mondo si evolve rapidamente, ridisegnando le geografie del potere economico, è necessario ripensare anche a quale sia il ruolo dello Stato. Non è un caso che altri movimenti propongano modelli più localizzati, fondati su mutualismo, cooperativismo e partecipazione locale (ne è un esempio l’intervista a Lord Glasman che qualcuno ha citato nei commenti al post precedente, a pagina 11 della neonata rivista Fabiana).

Giustizia sociale, etica, distribuzione delle risorse e uguaglianza sono temi centrali di una sinistra moderna. Chi ne ha teorizzato l’obsolescenza si scontra con la pratica di un mondo in cui, al contrario, ce n’è una disperata richiesta.

Credo davvero che la modernità nell’analisi, e la chiarezza sulla direzione da prendere, saranno le armi vincenti della sinistra inglese (e non solo).

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