Nicola, un lettore del mio precedente post, mi ha scritto e raccontato una storia esemplare dell’Italia d’oggi: la sua. Mi chiede alla fine dove abbia sbagliato. A me sembra che non sia lui ad aver sbagliato, ma che a sbagliare sia il Paese. Forse lui ha sbagliato Paese in cui nascere, ma non è certo una colpa a lui addebitabile. Che futuro può avere un Paese che scarta i più motivati e competenti mentre ingrassa i parassiti? Trattandosi poi di talento sprecato, il problema, da personale – di Nicola – diventa collettivo, di tutti noi: ci serve un Nicola in più e un finto impiegato in meno.

Andiamo ripetendo da anni che servono più tecnici e che un punto debole della nostra scuola è quella tecnico-professionale della quale non si comprende adeguatamente l’importanza per la competizione economica. Abbiamo un modello economico vicino e vincente, la Germania, ma insistiamo con modelli improbabili e improvvisati, utili solo (e forse neanche più) in chiave elettorale.

Oggi non posso non consigliare a Nicola di tornare a guardarsi anche intorno, oltre i confini nazionali. Resta però l’amara consapevolezza di vivere in un Paese gestito da una classe dirigente squalificata e squalificante che asseconda il perpetuarsi di rendite di posizione parassitarie e di continue fughe in avanti rispetto alle scelte etiche e razionali che fasce crescenti di popolazione attendono.

Cosa rispondereste voi a Nicola?

“Mi chiamo Nicola, 36 anni, diplomato in elettronica e telecomunicazioni. La laurea purtroppo non l’ho conseguita, motivi familiari mi impedirono a tempo debito di iscrivermi all’università, poi ci ha pensato la vita a tenermici lontano. La mancanza di tale titolo di studio, comunque, non mi ha impedito, dopo aver svolto lavori di tutti i tipi, di entrare, nel 1996, in una società di telecomunicazioni, per la quale ho lavorato due anni, all’estero, su backbone in fibra ottica.

Venni contattato nel 1998 da quella che era la filiale italiana del mio cliente internazionale più importante, un carrier, e decisi di accettare la loro offerta, e tornai a lavorare in Italia, a Milano. Lavorai per questa società, per sei anni, approfondendo il mio know how delle reti di accesso e trasporto.

A questo punto cambiai nuovamente, era il 2005, e accettai la considerevole offerta economica fattami da parte di una società di intermediazione mobiliare, che aveva la necessità di avere, nella loro sede milanese, un IT manager. In questo nuovo ruolo, mi occupai dell’infrastruttura di rete dati, voce, dei rapporti con terze parti, di help desk per i trader, per due anni. A ottobre 2007 l’ufficio di Milano venne chiuso, e io mi trovai, per la prima volta nella mia vita, licenziato.

Ricordo ancora le crisi di ansia, per quella situazione inaspettata che non conoscevo, l’incertezza sul mio reale valore professionale… Mi venne offerta, quasi subito, la possibilità di rientrare nel mondo delle telecomunicazioni, ma io, per dimostrare a me stesso il mio reale valore, decisi di intraprendere una professione a me sconosciuta.

Se fossi riuscito in qualcosa che non avevo mai fatto, avrei dimostrato a me stesso di non essere un fallito, e accettai l’offerta di una società multinazionale svedese, che si occupa di metalmeccanica in ambito automotive, per diventare un product specialist. Imparai la fisica dei serraggi, e la statistica di qualità, imparai a leggere capitolati tecnici (di clienti del calibro di Fiat), e a redarre offerte tecniche, mi relazionai con realtà industriali dal Brasile alla Russia, per lo sviluppo e la delivery dei nostri prodotti alle società. Questo fu il mio lavoro dal 2007 al 2010.

Nel 2010 venni contattato da una società di head hunting, per conto di una notissima utensileria italiana, che cercava uno specialista di dinamometria, una persona che facesse da “cerniera” tra marketing e ufficio tecnico per lo sviluppo di nuovi prodotti. Accettai anche questa volta, affascinato da questo ruolo che sentivo di poter svolgere, avevo le conoscenze tecniche e la voglia di imparare cose nuove non mi è mai mancata. Per questa società ho lavorato 5 mesi, da giugno a novembre, non occupandomi di sviluppo di nuovi prodotti, ma concentrandomi sul trasferimento di un’attività produttiva di chiavi dinamometriche dalla Francia all’Italia. Ho creato il know how sul prodotto che, nella sede italiana, mancava, imparando a costruire e testare ogni singola chiave dinamometrica a catalogo, ho insegnato agli operai a fare altrettanto, ho supervisionato l’installazione delle macchine di montaggio e test dei prodotti, e, a trasferimento avvenuto, con 5 linee produttive da 400/600 pz/mese ognuna, mi sono sentito dire che la mia figura non era adeguata per il ruolo richiesto. E mi sono trovato nuovamente licenziato. Licenziato da un lavoro in cui avevo riposto tutte le mie energie, per il quale ho accettato di fare sacrifici.

La delusione è stata grande, questa volta, forse più della precedente, ma non mi sono arreso, ho cominciato fin da subito a inviare curriculum vitae in rete, porta a porta, battendo tutte le agenzie di recruiting di Milano. Alla fine, dopo circa 3 mesi, mi sono trovato a poter scegliere nuovamente una nuova occupazione: tornare alla multinazionale svedese, diventare venditore di un produttore di nicchia di tools dinamometrici, diventare il tecnico manutentore di una società che produce sistemi di analisi delle gomme, entrare il una società che si occupa di gestione progetti conto terzi in ambito automotive.

Ho scelto l’ultima offerta, rinunciando a benefit e stipendi, attratto dalla possibilità di imparare cose nuove, e di crescere in un ambito lavorativo, quello del project management, che a me interessa moltissimo. I dirigenti della società sono stati colpiti fin da subito dalle mie esperienze, dal mio dinamismo e dalla mia voglia di imparare, e nonostante il mio settore di provenienza non fosse esattamente lo stesso mi hanno assunto. Io mi sono messo a studiare ciò che non conoscevo, occupandomi, fin da subito, di alcuni progetti semplici, e, visto il training minimo, ho sempre chiesto informazioni, ponendomi in una posizione chiara: “le cose che non conosco le voglio imparare, e voi (colleghi, responsabili) dovete sentirvi liberi di insegnarmi”. I progetti che ho seguito, dopo tre mesi dalla mia assunzione, hanno iniziato a dare i loro frutti, ma, nuovamente, un giorno prima della scadenza del periodo di prova, sono stato licenziato, nonostante pareri positivi sul mio lavoro e su di me.

E ora sono qui. E mi chiedo: ”cosa ho sbagliato nella mia vita per trovarmi, a 36 anni, a cercare nuovamente lavoro?”

Mi sento molto male, come se nella mia vita, nonostante un curriculum di tutto rispetto, una cultura (non è una mia definizione) piuttosto vasta, qualità personali come il dinamismo, la curiosità, la voglia di mettermi in gioco, non sia riuscito a concludere nulla, a differenza di tanta altra gente che, dopo vent’anni a scaldare la stessa scrivania, la voglia di fare azzerata, cresce professionalmente.

Vorrei, se possibile, un suo parere: mi dica secondo lei cosa ho sbagliato finora, in cosa posso correggermi”.

Articolo Precedente

Il senso del Pd per il lavoro

next
Articolo Successivo

Daniele telelavora
(ma a Parigi)

next