Musica

Vinicio Capossela, nuovo disco tra “marinai, profeti e balene”

Il cantautore presenta il suo nuovo doppio album, 19 tracce molto lontane dallo stile "tarantolato" di alcuni lavori precedenti, e parla dello stato della cultura nel nostro paese

di Marco Todarello

Solo in mezzo al mare, lontano dalle regole umane della terraferma, gli uomini possono comprendere meglio il senso della propria esistenza e del proprio destino.

Il viaggio verso l’ignoto, tra i flutti e le onde, come metafora del percorso di ogni uomo verso il proprio destino; un viaggio che è meglio affrontare da soli perché “il viaggiatore che arriva più lontano è quello in solitaria, e questo disco è la celebrazione di questa missione”.

Saldo al timone della nave c’è Vinicio Capossela, che celebra i vent’anni di carriera con “Marinai, profeti e balene”, un disco che lui definisce “antropologico”; un album doppio che si snoda in 19 capitoli che vanno ascoltati, o meglio letti, come se fosse un romanzo.

La balena come la potenza della creazione, come il limite posto all’umano dalle “creature più forti di noi”; i profeti come gli enigmi, le domande della vita, la fragilità umana simboleggiata dal dubbio; i marinai come l’anelito di scoperta che sta in ognuno di noi, la necessità di conoscere e i rischi connessi, perché “la conoscenza è separazione, limite tra il noi che eravamo e il noi che saremo”.

Quello che negli anni ’70 sarebbe stato sicuramente un concept album, è un esperimento letterario-musicale che attinge da alcune celebri penne della letteratura di mare (Melville, Conrad, Salgari), e che brano dopo brano rivela la definita maturità artistica di Vinicio Capossela. “In un momento difficile come questo – spiega Capossela – ho sentito il bisogno di confrontarmi con temi grandi, di studiare, perché siamo noi i primi a dover preoccuparci della nostra cultura e a inocularla nel Paese, se dall’alto non vengono stimoli in questo senso”.

Gli amanti del Capossela di “Il ballo di San Vito”, festaiolo e tarantolato, resteranno forse delusi da un lavoro che rimanda all’intimità, alla solitudine, ai suoni ancestrali del mare e degli abissi.

Più volte, nel disco, i cori (tra cui il classico “Coro degli apocrifi” e le donne sarde di “Actores Alidos”) accompagnano il cammino del viaggiatore “per farsi coraggio di fronte alla tempesta”, per guidarlo nei momenti di paura e di scelta, in un’aura di epica solennità.

La debolezza umana, l’indecisione, la scelta, tratti comuni agli uomini ma anche agli eroi, le cui gesta sono ripercorse attraverso le canzoni: Polifemo, Ulisse, l’Aedo, Billy Bud, e infine Lord Jim, con le vele che lo conducono incontro al suo abbaglio, celebrato in una canzone sull’irrimediabilità dell’errore, e sull’errare come sua conseguenza.

Nel disco torna spesso il tema dell’attesa, e anche quello del ritorno, ché l’esistenza umana è scandita dai ritorni, dalla capacità di ripartire, imparando però a gestire il rimpianto, la nostalgia, “sentimenti profondamente umani ma ingannevoli”, che ci fanno idealizzare una realtà che non è più e che oggi stentiamo a riconoscere.

Alla ricerca degli strumenti e dei suoni che stanno alle radici della nostra cultura, Capossela è andato nel cuore del Mediterraneo, sull’isola di Creta, a cercare Psarantonis, “l’ultimo della stirpe degli aedi”, i cantori della Grecia antica, che suona la lira in “Aedo”, brano dal sapore mitico e che rimanda agli scenari omerici. Per renderla più vera ha registrato il pezzo proprio a Creta, all’aperto, insieme all’ensemble familiare del musicista cretese, e per di più “vicino alla grotta in cui si narra che sia nato Zeus”.

Altri strumenti particolari, e per lo più sconosciuti nell’uso moderno, completano il quadro onirico dell’album: tra questi la viola d’amore, il clavicembalo barocco e il theremin, una sperimentazione già avviata da Capossela in “Ovunque proteggi” e poi ampliata in “Da solo”.

Gli elementi letterari, musicali e concettuali fanno di “Marinai, profeti e balene “ un disco unico, difficilmente conciliabile – soprattutto per il live – con il vecchio repertorio di Capossela, ed è comprensibile che per il lancio sia stata scelta una tourné nei teatri delle principali città italiane con una scenografia ad hoc e una scaletta che includerà poco o nulla al di fuori dell’album.

Ci sono pochi temi che ritornano in questa nuova “filosofia caposseliana”: il viaggio, la conoscenza, la scelta, il coraggio, l’errore, la presenza, l’assenza, il porto, la Itaca che è dentro ognuno di noi. Temi che si snodano lungo le 19 intense tracce come tappe scandite del nostro viaggio personale, e che hanno lo stesso movimento delle onde.

E forse c’è pure una metafora risolutiva, che usa il mito per raccontare la realtà, tra le narrazioni riproposte da uno dei più eclettici cantautori italiani: I marinai, i profeti e le balene dicono che siamo precipitati nel ventre dell’oscurità, nell’umido tepore del mostruoso Leviatano, dove non regna la virtù, né la conoscenza, e nemmeno il senso del destino. Ma siamo sempre in grado di prendere il largo, ancora una volta, vedere gonfiare le vele e finalmente guardare altrove.

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