Un patteggiamento a 5 anni di reclusione, di cui tre condonati grazie all’indulto, e cinque rinvii a giudizio, tra cui quello dell’ex segretario generale della presidenza della Repubblica, Gaetano Gifuni. Si è chiusa così, davanti al gup Maurizio Caivano, l’inchiesta della procura di Roma sui presunti sperperi dei fondi destinati dal Quirinale alla gestione della tenuta di Castelporziano.

Una vicenda che, oltre a Gifuni, chiama in causa anche il nipote acquisito Luigi Tripodi, ex capo del Servizio Tenute e Giardini del segretariato generale della presidenza della Repubblica, e altre persone, tra dirigenti e funzionari fino al 2007-08. Per tutti il processo comincerà l’11 luglio. Abuso d’ufficio, peculato, truffa, falso materiale e falso ideologico, i reati ipotizzati, a vario titolo, dal pm Sergio Colaiocco. Ha concordato la pena Gianni Gaetano, uno dei cassieri-contabili della Tenuta di Castelporziano.

Secondo quanto ricostruito dal pm, Gifuni risponde di abuso d’ufficio perché “su istigazione e in concorso” con Tripodi, “dopo aver appositamente ricostituito nel dicembre 1993 il Servizio Tenute e Giardini e preposto Tripodi (figlio della sorella della moglie) a capo dello stesso, intenzionalmente gli procurava un vantaggio patrimoniale quale l’indebita assegnazione di un alloggio di servizio (villa abusivamente realizzata con oltre 180 mq con giardino) all’interno della tenuta”.

Il peculato è contestato ai due perché, “nell’esclusivo interesse di Gifuni, utilizzavano materiale acquistato dalla Tenuta, per la falegnameria interna, per la realizzazione, e posa in opera di un armadio bianco, di un secondo armadio, con ante scorrevoli, di un tavolino e, infine, di una tettoia parasole all’interno dell’appartamento privato di Gifuni in via Valadier”. In relazione a quest’ultimo episodio ai due è contestato un altro abuso di ufficio: Gifuni, su istigazione e in concorso con Tripodi, avrebbe affidato ai dipendenti in servizio presso la Tenuta “incarichi non compresi nei doveri d’ufficio” richiedendo in orario di servizio e in più occasioni a sei elementi della maestranza la realizzazione di quei lavori di falegnameria presso l’abitazione di via Valadier.

Nella vicenda a Tripodi sono attribuiti i tredici episodi contemplati nel capo di imputazione, compreso uno di peculato, per l’appropriazione di oltre 4 milioni e mezzo di euro tra il 2002 e il 2008, fatto contestato anche ad Alessandro De Michelis, già direttore della Tenuta, e ai cassieri-contabili Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro: gli ultimi tre con la disponibilità di un conto Bnl presso il Quirinale e delle chiavi della cassaforte dove venivano custoditi i contanti. Per mascherare tali ammanchi si truccavano i libri mastri spediti al Servizio Ragioneria.

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