Non è punibile lo straniero che in “estremo stato di indigenza”, o comunque per “giustificato motivo”, non abbia obbedito all’ordine di allontanamento del questore continuando a rimanere illegalmente in Italia. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, che ha così in parte bocciato una delle norme del ‘pacchetto sicurezza’ del 2009 relative al reato di clandestinità. A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale di Voghera, chiamato a giudicare sul caso di una donna clandestina più volte raggiunta da un decreto di espulsione ma che, per motivi di estrema povertà, non aveva potuto lasciare l’Italia con i propri mezzi. Si tratterebbe, dunque, di un “giustificato motivo” che però non è stato previsto dal testo unico sull’immigrazione, così come modificato dall’ultimo ‘pacchetto sicurezza’ del governo Berlusconi (legge 94 del luglio 2009).

Dopo aver rilevato che il ‘pacchetto sicurezza’ ha aumentato da quattro a cinque anni le pene per lo straniero che, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione non si allontani dall’Italia, la Corte Costituzionale censura la mancata previsione di un “giustificato motivo”. Si tratta infatti, scrivono i giudici costituzionali nella sentenza depositata oggi in cancelleria, di una clausola che, come la Corte ha già rilevato, è tra quelle “destinate in linea di massima a funzionare da ‘valvola di sicurezza’ del meccanismo repressivo”. “È chiaramente irragionevole – si legge nella sentenza – che una situazione ritenuta dalla legge idonea a escludere la punibilità dell’omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo”.

Nel caso concreto esaminato dalla Consulta, la donna straniera non aveva obbedito per tre volte all’ordine di allontanamento del questore e per questo era stata arrestata dopo il ritrovamento da parte della polizia nel sottoscala di uno stabile dove abitava. Lì, si rifugiava per dormire in un luogo abbandonato e privo di ogni servizio essenziale come ad esempio il riscaldamento, nonostante la temperatura fosse di molto inferiore allo zero. “Un estremo stato di indigenza, che abbia di fatto impedito l’osservanza dell’ordine del questore nello stretto termine di cinque giorni – rileva la Corte – non diventa superabile o irrilevante perché permanente nel tempo o perché insorto o riconosciuto in una occasione successiva”. Per cui, a meno che non si proceda con un’esecuzione coattiva dell’espulsione,  affidare allo stesso immigrato clandestino l’esecuzione del provvedimento “incontra i limiti e le difficolta dovuti alle possibilità pratiche dei singoli soggetti”. Esiste infatti, conclude la Corte, “un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico all’osservanza dei provvedimenti dell’autorità, in tema di controllo dell’immigrazione illegale, e l’insopprimibile tutela della persona umana”.

Articolo Precedente

Le economie di Pirro della legge 104/92

next
Articolo Successivo

La tratta degli esseri umani non si ferma
Il rapporto di Amnesty International

next