Gli abitanti di Berezovka soffrono di questi problemi dal 2000, cioè da quando le quattro compagnie straniere hanno iniziato ad estrarre massicciamente il gas. Da allora un gruppo di cittadini ha istituito un’associazione locale chiamata Zhasil Dala e guidata da Svetlana Anosova, un’ex insegnante di musica ora in pensione, convinta che tutto questo abbia una spiegazione molto semplice: “Gli investitori sono venuti qui per estrarre il gas, ma hanno usato tecnologie scadenti e metodi non appropriati. Il risultato è che noi respiriamo il gas perché la Kpo non lo brucia sempre, come invece dovrebbe fare secondo il protocollo formato con il governo kazako. Sappiamo che non lo bruciano perché sentiamo l’odore, ma anche perché ce lo dicono alcune persone che lavorano nel giacimento. Per questo noi siamo costretti a respirare tutti questi veleni”. L’associazione ha uno scopo preciso: ottenere il trasferimento degli abitanti del villaggio in un’altra zona del paese e il relativo indennizzo economico. L’obiettivo sembrava facilmente raggiungibile, visto che era la legge kazaka a prevedere che non si potesse vivere in un raggio di 5 km dal giacimento e questo è proprio il caso di Berezovka. Era, appunto, visto che legge è stata cambiata e ricambiata, lasciando gli abitanti in un limbo avvelenato che li circonda da oltre 10 anni.
Nel 2002 il ministero kazako della Salute stabilì che non si poteva vivere a meno di 5 km dall’impianto di estrazione del gas. Berezovka sorge proprio sul confine dei 5 km. Per questo motivo gli abitanti del villaggio avrebbero dovuto essere spostati in un’altra zona e indennizzati. Per due anni, però, né il governo né le multinazionali muovono un dito. I 1.500 abitanti aspettano fiduciosi, fin a quando non arriva la doccia fredda. Nel 2004 il medico dello Stato decide che la zona di protezione sanitaria non dev’essere di 5 km, ma di 3 km. In questo modo il paese risulta fuori. Il nuovo calcolo viola la legislazione kazaka, ma per 6 anni tutto resta fermo. Bisogna aspettare giugno di quest’anno perché la decisione venga almeno in parte rivista.
Lo stato kazako vuole la sua parte
Per la prima volta nella storia del paese, i giudici kazaki danno ragione a una ong locale, Green salvation e all’associazione degli abitanti, Zhasil Dala. La zona di protezione sanitaria torna a essere di 5 km, da cui consegue che una parte del paese è dentro la zona e dovrebbe essere indennizzata, mentre l’altra parte, quella fuori dai 5 km, non ha diritto al trasferimento. Una vittoria che non convince Sergey Kuratov, presidente della ong kazaka Green Salvation, che assieme a Svetlana Anosova ha fatto causa al governo. “In realtà – spiega Kuratov – la legge kazaka dice che la zona di protezione sanitaria deve tutelare la gente da qualsiasi tipo di incidente, da qualsiasi esplosione e da qualsiasi situazione imprevedibile. Ma in caso di esplosione dell’impianto di Karachagank la gente che abita poco fuori dai 5 km verrebbe ovviamente colpita. Secondo problema: il governo, il ministero della Sanità e quello dell’Ambiente si sono ritirati dal processo e hanno demandato la responsabilità di indennizzare gli abitanti di Berezovka alle autorità locali. Ma questi enti non hanno i soldi per indennizzare gli abitanti e, soprattutto, non hanno il diritto legale di trasferire gli abitanti in un’altra zona. Per questo crediamo che alla fine la decisione della corte non cambierà le cose e gli abitanti di Berezovka saranno costretti a vivere ancora in questa zona molto pericolosa.

Dopo la sentenza, Svetlana Anosova e la sua associazione hanno continuato a chiedere chiarimenti sul loro futuro, ma le risposte ricevute da governo kazako e società private sono apparse contraddittorie. “L’esecutivo dice che la revisione della zona di protezione sanitaria spetta al consorzio; il consorzio dice che quello non è compito suo”, si lamenta Svetlana. Indennizzare gli abitanti costerebbe meno di 10 milioni di dollari, cifra che non dovrebbe spaventare gli attori in gioco visti i guadagni miliardari provenienti dal giacimento del Karachagank. Qual è allora il vero motivo dell’immobilismo? Di certo, mentre in questo piccolo villaggio la gente continua ad ammalarsi, tra le compagnie petrolifere e il governo locale si sta giocando una partita finanziaria molto importante. Lo stato kazako non è infatti presente nel consorzio e questo non sembra più andare bene al presidente Nazarbaiev, come dimostra la dichiarazione fatta da Kairgeldy Kabyldin, presidente della compagnia di stato Kazmunaigaz, che a inizio giugno ha fatto sapere di essere intenzionato ad arrivare fino al 10% del consorzio Kpo. Un risultato ottenibile rapidamente usando metodi non proprio ortodossi: ad esempio, creando problemi di ogni tipo alle compagnie straniere, fino a costringerle a cedere. Proprio come accaduto per il giacimento di Kashagan, altro tesoro kazako. Lì il governo di Astana era presente fin da subito nella società di controllo, ma con una percentuale bassa: l’8%. Troppo poco per il più grande giacimento di petrolio scoperto negli ultimi 40 anni.

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