Cultura

Frigidaire, trent’anni tra disegni e barricate

di Malcom Pagani

Erano pazzi? Senza ombra di dubbio. Tecnicamente squilibrati, felicemente folli. Colori, disegni alle pareti, liturgie consolidate e capelli ingrigiti troppo in fretta, riportano al tempo che è passato. Trent’anni, ieri. L’idea del nome della rivista venne a Stefano Tamburini, uno dei tanti, ma non uno qualunque, dei poeti maledetti che trovò la morte (a 32 anni, in solitudine, dimenticato nell’appartamento da una settimana) prima di se stesso. Frigidaire non era solo un’isola che riuniva naufraghi del ‘77, esuli di ‘Cannibale’, collaboratori del ‘Male’ e di ‘Re Nudo’, randagi di ogni genìa. Era molto di più. La scialuppa nella tempesta, l’ipotesi estrema di un’arca letteraria che tenesse insieme spinte, controspinte, amori, droga e inventiva. Riflusso e prospettiva, arte e poesia, nudi in prima pagina (Achille Bonito Oliva e fu scandalo), litigi, separazioni lisergiche e addii. Su quelle pagine, tra fumetti, reportage, analisi di costume, l’inseguimento di un’America non solo metaforica e le beffe mediatiche, nuotava il talento. Senza tessere, appartenenze o chiese.

Redazioni strette e vicini molesti
Si bussava in redazione (una stanza in bilico tra le proteste dei vicini e le lamentele del proprietario) e udito solo un indistinto vociare, invece di girare i tacchi, si attraversava il corridoio della giovinezza. Andrea Pazienza e Pablo Echaurren, Magnus, Sampayo, il duo di genio Scòzzari e Liberatore e poi al centro della foto, con rughe orgogliose, cartine, tabacco, occhiali e eloquio da cantore d’osteria, Vincenzo Sparagna, figlio di Cristoforo, da Napoli. Precursore, collante, anima del gruppo. Il bambino che dipingeva cavalieri e poi nella tavola della  battaglia e nel disegno generale, finì per confondere irreversibilmente i piani tra finzione e realtà. Invece di terminare la propria parabola sul polveroso bancale di un rigattiere (e tra sfratti, morosità, tradimenti, carriere folgoranti, fughe e consunzione fisiologica, non sarebbe mancata la materia) Frigidaire è arrivato fino a noi. In edicola, con un sito internet www.frigolandia.eu, semiclandestinamente, mentre intorno, è cambiato tutto. E per intuire i lampi che tuonarono, bisogna muoversi e planare ai piedi di Giano nell’Umbria, nella Repubblica di Frigolandia, dove volti e nomi delle frazioni confinanti (Bastardo) somigliano ai personaggi di una strip. Tra un ricordo e un miraggio, ogni elemento torna qui al proprio posto. I fantasmi del passato trascinano la mente a qualche mostro metropolitano come Ranxerox o ai violenti soliloqui di Zanardi, ma è un’illusione.  Quattrocento iscritti, un passaporto bordeaux, come quelli veri, un andirivieni continuo che insospettisce chi nulla vide di una stagione ormai tramontata. Sparagna si guarda indietro e se gli parli di reducismo, si incazza anche un po’: “E’ improprio, il reduce è quello che torna da una guerra terminata. Qui il conflitto vive e lotta insieme a noi. Reduce de che?”

Tutte le denunce di un anarchico
Nell’impossibile classificazione di un disordine voluto, nell’esilio ricercato che fuori dalla porta non abbandona nessuno e nelle similitudini, si scorgono le tracce di allora. Quelle che fanno sentire vivi Sparagna e i suoi. All’epoca, non diversamente da oggi, quando esageravano, arrivava la Polizia. E allora nastri per sigillare, denunce, querele che l’ex avanguardista, l’ex radicale, l’ex tutto Sparagna, rispediva al mittente in una commistione di sveltezza di pensiero e situazionismo vesuviano. Mentre illustra  l’odierna precarietà (del tutto simile a quella che da sempre ha accompagnato l’avventura di Frigidaire) : “Il comune di centrosinistra vuole mandarci via a calci, dice che non abbiamo pagato la  concessione. Ed è un paradosso, perché questo posto è l’unico della mia vita in cui io abbia saldato a fondo tutte le pendenze”, Sparagna riflette. “A resistere siamo abituati, fin da quando i palazzinari romani ci cacciarono dalla sede di Monteverde a Roma.  E poi, come a Berlino, ci sarà un giudice anche qui, a meno che non sia legato a qualche loggia anche lui”. La più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo prese il via alla fine del ‘79, approdando in edicola nell’autunno dell’anno successivo.  “L’idea era che la satira riprendesse dopo la cupezza della fine dei ‘70, i terreni della sperimentazione. I linguaggi sacrificati alla politica. Desideravamo una capacità di critica nuova, che lasciasse nel’angolo i paraocchi ideologici, per innalzare il fumetto al ruolo che non aveva mai avuto”. Scommessa riuscita.  “Con la grafica e l’inventiva, intraprendemmo un lunga peregrinazione nella quotidinianità delle periferia. Una stagione di racconto della realtà che spiazzò il pubblico”. Frigidaire lesse in anticipo il degrado in divenire, l’abbrutimento della società, un nuovo prototipo di mostro che di lì a poco, avrebbe conquistato spazi: “Tracciare alternative e incamerare diffidenza, è il destino delle avanguardie”. Oltre il giardino, i lutti e i funerali improvvisi, i frigideriani si divertirono molto. Il rovesciamento della realtà, un genere da inflazionare senza ritegno. Nacquero irrisioni a mezzo stampa, falsi storici, surrealismi. “Preparammo un falso numero di ‘Stella rossa’, il giornale dell’armata sovietica impegnata in Afghanistan, annunciando la fine della guerra. Lavorammo sul territorio, con tutti i rischi connessi ai bombardamenti in corso”. Ci presero gusto e in un’ansia da novelli Fregoli, Sparagna e i suoi, non si fermarono. Editoriali a firma Scalfari, veri e propri quotidiani. “Facemmo uscire 25 numeri  del Lunedì della Repubblica, quando il giornale fondato da Scalfari, all’epoca, il lunedi non usciva proprio”. Si compiace ancora adesso. “Accadde in pieno dissidio tra De Benedetti e Berlusconi per il controllo della Mondadori e  all’inizio ci lasciarono anche fare perché entrambi speravano che ci potessimo schierare da una parte o dall’altra”. Non avvenne. E puntuali, piovvero le cause.  “Quando fummo in tribunale, mi incontrai con Piero Ottone che all’epoca firmava editoriali con uno pseudonimo, ‘ma come, quello che leggo ogni giorno non è il tuo vero nome? Come potete accusare noi? Il princìpio è lo stesso’”. Finì senza danni. “Ci siamo permessi molte licenze, assorbendo le istanze delle nuove generazioni cresciute leggendo il primo Frigidaire” . In ogni parola di Sparagna, c’è un pensiero verso chi è andato via. “Mi mancano tutti, ma Andrea (Pazienza ndr) mi manca di più. Onesto, semplice, sorprendente, umile”.

Nulla è cambiato, neanche Vincenzo
Nonostante il pianeta non sia cambiato come sognavano parafrasando Marx : “Non basta spiegare il mondo, bisogna trasformarlo”, il tedio perde il confronto con l’allegria. Sparagna apre una bottiglia, si tocca i baffi, liscia il pelo e intanto, non perde il vizio: “Una volta Alfonso Leonetti, uno dei fondatori del Pci mi disse una cosa semplice: ‘Bisogna mettere cento volte la tela sul telaio per fare in modo che venga bene’”. Poi ride, consapevole che senza errori, la storia sarebbe stata diversa, meno personale e quindi peggiore. “In giovinezza, pensavo bastasse affermare un principio per mutare il quadro. E’ una stronzata, ma per farmene una ragione ho impiegato qualche anno”. Non meditando a sufficienza per arginare la ripulsa verso i nuovi padroni. “Bertolaso si è risentito per un articolo intitolato ‘Bertoldo, Bertoldino e Bertolaso’ in cui dicevo che era pallido, e divideva il tempo con gente poco raccomandabile”. Pausa. “Mi ha chiesto 60.000 euro, comunque vada la causa civile, quei soldi non li ho”. Si capisce che gli frega meno di zero. I denari veri, evaporati o capaci di scatenare insinuazioni, livori e cattiverie,  sono stati sempre virtuali. Come l’humus di Frigidaire. “Giuliano Amato ci tagliò i fondi per l’editoria e precipitammo in una crisi nera che creò una voragine, bruciò energie e risorse e ci costrinse a sgobbare gratis per anni”. Poi, alzando la voce:  “Le pare che se mi fossi arricchito sarei ancora qui?”.  Nel 1985, di un uomo molto ricco, Frigidaire pubblicò un profetico ritratto. Era Silvio Berlusconi. “Altro che ‘68, Silvio era già  il capofila dei ragazzi del ‘27. Quelli che aspettano, parassitari lo stipendio. Io non ho una lira  in tasca, ma mi guardi con attenzione, chi sta davvero meglio di me?”. Abbaiano cani, rumori all’orizzonte, Frigolandia si addormenta. Per ricominciare.

Da Il Fatto Quotidiano del 1 ottobre 2010

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