Fini, Casini e Rutelli, il nuovo passa da qui. Potenza della geometrica politica italiana dove ogni cosa si misura per il posto che occupa sul campo: al centro, alle estreme, a metà tra il centro e le estreme, fuori campo, in nessun posto come il Pd. Questa geometria ha oggi ritagliato un lembo di territorio, uno spazio etereo ma reale costruito tra il disfacimento berlusconiano e la “cultura della legalità”, tra la crisi perenne del Pd e una destra che dopo quindici anni non è nulla se non muffa cresciuta attorno a Silvio Berlusconi. E così, nella terra sconsacrata del bipolarismo nasce un ipotetico “terzo polo” che a parole tutti negano ma nei fatti praticano con ogni dovizia. I tre sono un ritratto calzante della situazione politica. Avanzi di bipolarismo, protagonisti battuti di una stagione mai decollata. Fini e Rutelli, ad esempio, il bipolarismo alla romana lo hanno battezzato nel 1993 e la loro competizione alla guida di Roma è l’origine di tutte le cose. Fu allora che Berlusconi disse “a Roma voterei per Fini” e l’allora segretario del Msi riuscì da solo a superare il 40% dei voti. Rutelli vinse e governò Roma per otto anni e a oggi resta il suo unico successo politico. A quel punto il bipolarismo conquistò anche lui e si candidò, disperatamente, contro il centrodestra nel 2001 realizzando un risultato nemmeno troppo malvagio considerato che doveva rimediare al fallimento del centrosinistra che in cinque anni aveva esibito ben quattro governi (oltre a Prodi e Amato ci fu infatti anche un D’Alema 1 e un D’Alema 2). Rutelli utilizzò quel successo per fondare la Margherita, poi il Pd e infine l’Api che oggi potrebbe confluire in un partito con Fini. Geometrie italiane.

Casini è quello che forse nel bipolarismo ci è stato più stretto di tutti, ma ci è stato. Senza l’alternanza di governi innescata dalla riforma elettorale nel 1993, non avrebbe avuto tanta visibilità, lui che per quattordici anni – dal 1994 al 2008 – è vissuto all’ombra del Cavaliere, lucrandone vantaggi e privilegi, compresa la presidenza della Camera. Come Fini, “sdoganato” da un recinto in cui non esisteva futuro politico.

Casini ha rotto con Berlusconi due anni fa, Fini solo oggi, Rutelli ha rotto con il Pd da pochi mesi. A parte la rottura con il passato, cosa li può legare davvero nel futuro e quale può essere il loro progetto?

Fini ha nel tempo temperato le sue convinzioni “reazionarie” e via via ha calzato una cultura “repubblicana” nel senso che i francesi danno a questo termine: un fortissimo senso dello Stato al limite del nazionalismo, cultura costituzionale, senso dell’ordine e dell’autorità, apertura alle questioni attinenti alla libertà civile (fino a rompere con il Vaticano), sensibilità umana verso gli immigrati, difesa dei valori tradizionali e della “terra dei padri”.

A Casini questi valori possono andare bene, non ha deciso infatti di chiamare il prossimo partito che nascerà “Partito della Nazione”? Certo, l’Udc è anche un’espressione del Vaticano, coltiva rapporti con un settore imprenditoriale, guarda ai ceti medi e per questa via può stare piuttosto bene con Fini. Rutelli è capace di adattarsi a qualsiasi soluzione. Nei suoi otto anni da sindaco ha governato Roma anche con Rifondazione comunista, poi è diventato cattolico, si è sposato in Chiesa, ha scelto una linea filovaticana su libertà e diritti civili, lui che era stato radicale. Oggi accarezza il pelo al moderatismo italiano che storicamente si è riconosciuto nella Dc ma anche in alcuni partiti di centro, come i repubblicani o i socialdemocratici (e infatti il segretario del Pri, Nucara, già berlusconiano, ha chiesto di far parte del nuovo raggruppamento).

Può bastare per avere un futuro? Dal punto di vista istituzionale no, perché per esistere una tale scommessa politica ha bisogno di cambiare la legge elettorale. L’unica altra possibilità è farsi essa stessa “polo”, cioè puntare a essere uno dei due competitor del sistema italiano (non importa se con questa legge o, magari, con un ritorno all’uninominale). Per questo obiettivo, però, l’importante è riuscire a “sfondare” in uno dei due schieramenti esistenti e sgretolare i soggetti consolidati.

Ora, il profilo tracciabile dalle biografie dei tre nuovi leader, che ha risorse nella società italiana e anche seguito, può farcela a scalfire quel blocco sociale e culturale che dopo quindici anni si è addensato attorno a Berlusconi? Può fare breccia nell’elettorato leghista, in quelle realtà di piccola e grande evasione fiscale, di difesa disperata di pochi o tanti privilegi, nell’antiStato che punta a farsi beatamente gli affari propri, nei rapporti perversi con la criminalità piccola e grande? Berlusconi ha creato quella che il Censis ha definito “mucillagine”, una società slabbrata e ripiegata su stessa. E quindi incattivita che si riconosce più nei proclami della Lega che nel bon ton istituzionale di Fini e Casini.

La sensazione è che quella cultura legalitaria, “repubblicana”, forte di un certo senso dello Stato, una cultura che in passato è stata appannaggio della Dc e in parte anche del Pci, alberghi soprattutto nel centrosinistra, nel suo tessuto sociale. Rutelli, Fini e Casini se ce la fanno a far nascere qualcosa potrebbero svuotare di consensi il Pd e anche Di Pietro (che infatti è piuttosto preoccupato per questa novità) e costituire l’ultima spiaggia per un Pd che in tutti questi anni non ha saputo scegliere tra uno sbocco moderato e centrista o una vocazione radicale e di sinistra. Possiamo sbagliarci, ovviamente, la crisi del berlusconismo in fondo esiste ma diciassette anni di martellamento non si buttano via con una scrollata di spalle o una manovra di palazzo. Anche la muffa, prima di essere lavata via, richiede una certe dose di tempo e energia.

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