Tutti gli anni la non-notizia dell’inquinamento padano si rinnova. Ovvio: la conformazione geografica è sempre quella, una grande valle poco ventosa perché circondata da Alpi e Appennini, gli anticicloni invernali che generano l’inversione termica con accumulo di aria stagnante nei bassi strati, anno più anno meno si ripetono, e le emissioni inquinanti da parte di circa 15 milioni di persone non sono cambiate se non in minima parte.

Le quattro fonti principali di inquinanti sono: traffico automobilistico, riscaldamento domestico, impianti industriali, agricoltura. Per ridurre il loro contributo alla miscela mefitica che respiriamo bisogna cambiare le nostre abitudini senza il solito ritornello che questo implica un danno economico. Forse che il danno alla salute e al clima non diventa poi un danno sociale ed economico?

Trasporti: da trent’anni si sente ripetere di utilizzare i mezzi pubblici invece dell’auto privata, ma più di tanto non si riesce per mille motivi: urbanizzazione sparsa, costi dei biglietti elevati, disservizi nella puntualità. La novità è il telelavoro, sdoganato dal Covid: più gente si riesce a far lavorare da casa, più viaggi si eliminano, indipendentemente dalla loro modalità. Per ora l’unico contributo realmente efficace alla diminuzione delle emissioni del trasporto è venuto proprio dallo smart working.

Però oggi sono in molti a fare marcia indietro, non tanto perché il rendimento dei lavoratori a domicilio sia scarso, bensì per proteggere interessi consolidati: valore immobiliare degli uffici, clienti di bar e ristoranti e tutto quanto legato al flusso di pendolari nei centri cittadini. O uno o l’altro, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca…

Altra nuova possibilità per azzerare le emissioni nocive soprattutto nei centri urbani è l’uso dell’auto elettrica, ma anche qui, apriti cielo, solo critiche, non va, costa, non ci sono le colonnine, le batterie le fanno in Cina… Quindi tutto resta come prima!

Edifici: consumiamo troppa energia e la buttiamo dalle finestre. Il 36% delle emissioni europee proviene dagli edifici, che sono dei colabrodo energetici. La riqualificazione energetica è prioritaria e può far risparmiare almeno il 60% dell’energia rispetto a edifici non isolati. I vari ecobonus, incluso il famigerato 110%, sono stati attaccati in tutti i modi come troppo costosi. Eppure sono stati la via maestra per ridurre realmente i consumi energetici, con effetti a lungo termine. Nel criticare questi incentivi parliamo sempre di soldi, mai di kilowattora e di tonnellate di CO2, perché c’è una grande ignoranza scientifica e il tema viene liquidato senza comprenderlo. E poi vediamo ancora i negozi con il riscaldamento a manetta e le porte aperte o i dehors con i funghi a gas per scaldare il nulla. Spreco allo stato puro.

Industria: qui le normative antinquinamento sono più stringenti e in molti casi l’innovazione tecnologica ha spinto a rinnovare gli impianti e a ridurre i consumi, anche per motivi di costi: essere più efficienti fa guadagnare! Molto è ancora da fare ma la strada è imboccata.

Agricoltura: i reflui zootecnici sparsi come fertilizzante sui terreni producono ammoniaca che è un precursore di polveri fini tossiche per la salute. Più animali si allevano – per soddisfare un crescente consumo di carne e latticini – più aumenta lo smog, insieme a tutte le altre fonti. Questo è il motivo per il quale durante i lockdown Covid la qualità dell’aria nelle città è solo parzialmente migliorata: mancavano le auto, ma riscaldamenti e liquami continuavano senza limitazioni con le loro emissioni.

La soluzione c’è: dopo il passaggio dei mezzi spandiliquame bisogna interrare immediatamente le deiezioni animali invece di lasciarle esposte all’aria in superficie, il che tra l’altro aumenta la perdita di elementi nutritivi. Però costa di più e richiede più impegno, così non tutti lo fanno.

Infine, anche attraverso lo smog i sistemi naturali ci mostrano limiti fisici invalicabili. La tecnologia ci può permettere di migliorare le prestazioni e ridurre gli sprechi, ma non all’infinito. Dobbiamo convincerci che non si può continuare a crescere in un territorio limitato. Più auto, più capannoni, più villette, più grattacieli, più poli logistici, più camion, più consumi, più rifiuti, più turisti, più voli, più di tutto. Alla fine non ci sta più nulla e tutto salta.

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