E’ in corso uno sciopero dei docenti e ricercatori delle Università pubbliche italiane, al quale peraltro ho aderito anche io annullando uno dei due appelli di esame previsti per il corrente mese di settembre, per uno solo dei corsi nei quali insegno. La mobilitazione dei docenti universitari sembra al momento piuttosto compatta ed è certamente inusuale nel nostro paese. Aderire all’iniziativa è importante: per docenti e ricercatori significa ritrovare la consapevolezza di essere membri di una categoria unitaria, capace di proporsi come soggetto politico. Troppe volte nel recente passato i docenti universitari hanno preferito, per interesse o piaggeria, schierarsi individualmente col potere politico costituito, anche quando questo si muoveva contro l’Università pubblica, e partecipare ad iniziative distruttive quali le Valutazioni della qualità della ricerca (Vqr).

Purtroppo, la motivazione principale dello sciopero in corso è una rivendicazione salariale, ampiamente giustificata, ma riduttiva rispetto ai problemi che l’Università pubblica italiana attraversa da un decennio a questa parte ). Il punto è stato sollevato su questo giornale anche da altri commentatori, e io stesso ho avuto modo di scrivere più volte che la distruzione dell’Università pubblica italiana è ormai compiuta. Le cifre del disastro dell’Università italiana sono inequivocabili: nel decennio 2008-2017 il corpo docente e ricercatore si è ridotto di oltre il 20% a causa di pensionamenti non rimpiazzati con nuove assunzioni; il Fondo di finanziamento ordinario è calato nella stessa misura; gli stanziamenti pubblici per la ricerca scientifica non solo si sono quasi azzerati ma quando sono stati erogati sono stati erratici e imprevedibili.

Il numero degli studenti universitari si è notevolmente ridotto per un drastico calo delle immatricolazioni e per gli abbandoni, dovuti al mancato supporto pubblico di quegli studenti “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” per i quali l’Art. 34 della nostra Costituzione prevede “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze”. Il calo numerico degli studenti universitari insiste su una realtà nazionale già disastrata e pone l’Italia alla penultima posizione tra i paesi Ocse per il numero di laureati.

Le rivendicazioni dei docenti per le quali è stato proclamato lo sciopero attualmente in corso non riguardano che di sfuggita lo sfacelo dell’Università pubblica italiana, lucidamente previsto e voluto dall’allora ministro Giulio Tremonti e perseguito da tutti i governi successivi con implacabile costanza. Ciononostante, io ritengo che l’adesione allo sciopero sia importante, non solo perché le rivendicazioni salariali che lo motivano sono giuste, ma soprattutto perché nel quadro di una rinnovata coscienza di classe, i docenti e ricercatori, alleati con gli studenti, possano opporsi come soggetto politico unitario alla distruzione dell’Università pubblica italiana, che, giova ricordarlo, produce ricerca valutata ai primi posti nel mondo dalle agenzie di valutazione.

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