Una soluzione che non risolve. Perché le famiglie eritree resistono e dalla centralissima Piazza Indipendenza – a due passi dalla Stazione Termini – non se ne vogliono proprio andare. A ormai cinque giorni dallo sgombero dell’edificio ex Ispra di via Curtatone a Roma, occupato dal 2013 da circa 450 rifugiati politici provenienti dal Corno d’Africa (per le associazioni di volontariato erano 800), l’unica prospettiva indicata dal Comune di Roma – condivisa dal Comitato per l’Ordine e la Sicurezza che si è riunito presso la Prefettura – è quella di utilizzare 8 villette gestite dal fondo Idea Fimit Sgr (lo stesso che gestisce l’edificio di 11 piani occupato fino a sabato scorso), che però si trovano in provincia di Rieti – dunque ad almeno 60 km dalla Capitale – e soprattutto sono utilizzabili solo per 6 mesi e soltanto dalle 107 persone “censite dalla Sala Operativa Sociale come persone in condizioni di fragilità”. Attualmente, in realtà, ci sono oltre un centinaio fra donne, bambini, anziani e disabili che sono stati riaccolti nell’edificio perché “soggetti deboli”, mentre altre 70-80 persone si sono accampate al centro della piazza e sono per lo più uomini e donne familiari o comunque legati a chi è rimasto dentro. Il risultato è che, secondo il Campidoglio, al momento solo una ventina di persone ha accettato la soluzione prospettata, mentre la maggioranza di loro chiede di essere accolta in una struttura che sia almeno all’interno dello stesso municipio (in tanti hanno trovato lavoro, seppur precario, in zona) e che comunque che i nuclei familiari non vengano separati. Va anche ricordato che, allo stato attuale, praticamente tutte le persone rimaste nella zona di piazza Indipendenza hanno già ottenuto dal Governo italiano lo status di rifugiati politici e dunque non possono (e non devono) tornare nel circuito dei centri d’accoglienza Sprar.

LE TENSIONI DEL MATTINO E LA PROTESTA DEI MIGRANTI
E’ ovvio come il protrarsi dell’accampamento al centro di piazza Indipendenza stia rischiando di diventare insostenibile, sia per i migranti sia per l’evidente stato di degrado e confusione in cui sta precipitando la zona. E’ per questo che in mattinata la Questura di Roma ha intensificato la presenza delle forze dell’ordine, nel tentativo di indurre gli ex occupanti a lasciare la piazza e disperdersi. Un’attività interpretata quasi come una minaccia dagli eritrei, i quali dopo un tentativo di mediazione hanno inscenato una protesta, fortunatamente non sfociata in scontri con la polizia, sebbene la tensione a un certo punto sia stata altissima. “Siamo rifugiati non siamo terroristi”, urlavano i migranti, spiegando che “non vogliamo dare fastidio a questa città, dateci solo un posto dove stare, ci accontentiamo di poco”. A un certo punto, sui davanzali dell’edificio che affaccia sulla piazza sono comparse anche alcune bombole del gas, poi ritirate quando gli animi si sono calmati.

LE POLEMICHE PER I RITARDI
Ciò che risulta subito evidente è che lo sgombero di sabato scorso sia avvenuto senza che fosse pronto un piano alternativo per accogliere le famiglie, al fine di evitare l’indegno spettacolo degli ultimi giorni. Una mancanza di dialogo che ha creato anche un mini-incidente istituzionale fra Comune di Roma e Regione Lazio. In una nota diffusa martedì sera, il Campidoglio ha spiegato che “in base al decreto legge n.14/2017, nei casi di sgomberi di immobili privati occupati, i livelli assistenziali devono in ogni caso essere garantiti agli aventi diritto dagli Enti Locali e dalle Regioni. E’ quindi auspicabile che l’amministrazione regionale, anche attraverso l’Ater e le Asl, fornisca adeguato contributo”. Fonti della Regione Lazio interpellate da ilfattoquotidiano.it, tuttavia rigettano le accuse ricordando che “è il Comune che si occupa dell’emergenza alloggi, disponendo anche le assegnazioni degli alloggi Ater”, spiegando che “la Regione ha già contribuito con ulteriori 40 milioni di euro per questo”. Non è tutto. Due assessori del Municipio II (a guida Pd), Giovanni Figà Talamanca e Tatiana Campioni, hanno polemizzato con la Giunta capitolina affermando che “il Municipio non era stato avvertito degli sgomberi”, che “l’assessore ai Servizi Sociali, Laura Baldassarre, è irrintracciabile e non assiste alle riunioni” e, soprattutto, che “il Campidoglio sapeva dello sgombero sin dall’8 agosto”; quest’ultima affermazione è stata parzialmente smentita da fonti capitoline, le quali a ilfFattoquotidiano.it hanno spiegato che “si sapeva di una stretta sulla vicenda, ma non si conosceva fino a poche ore prima la data esatta dell’operazione”. C’è anche da dire che nemmeno il municipio su cui ricade via Curtatone ad oggi è in grado di fornire una soluzione alternativa ai migranti, come ammesso dagli stessi assessori presenti in piazza.

L’EMERGENZA CONTINUA
E ora cosa accadrà alle famiglie eritree che non vogliono andar via? Continueranno a “bivaccare” in piazza Indipendenza? E per quanto tempo? “Per chi non accetta le soluzioni prospettate dalla Sala Operativa Sociale – spiegano ancora dal Campidoglio – il problema sarà di ordine pubblico, non riguarda più noi ma le forze di polizia”. Il conto alla rovescia è già iniziato e non è detto che non si proceda a ulteriori sgomberi, visto che a giorni la città inizierà a ripopolarsi ed allora sarà davvero impossibile lasciare la tendopoli a piazza Indipendenza. Una situazione simile, tra l’altro, si sta vivendo a piazza Santi Apostoli (dietro piazza Venezia) dove sono accampate delle famiglie italiane sfrattate le quali hanno anche solidarizzato con gli eritrei. Secondo fonti provenienti da chi lo gestisce, infine, il palazzo di pregio da 11 piani di via Curtatone sarebbe destinato a diventare sede di un’attività commerciale: nei mesi scorsi erano arrivate richieste da parte una nota catena di alberghi straniera, di una altrettanto celebre catena di palestre e da una compagnia aerea di voli low-cost.

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