“Avete visto che avete preso il mostro?”. Sono le prime parole del boss Giuseppe Giorgi, uscendo dalla botola nascosta sopra il camino della sua abitazione. La latitanza durata 23 anni si è conclusa così tra baciamano dei cittadini di San Luca e complimenti che lui stesso rivolge ai carabinieri che lo hanno catturato. “Voi siete Mucci?” domanda il boss rivolgendosi al tenente colonnello Alessandro Mucci, “bestia nera” dei latitanti della Locride che per anni ha inseguito Giorgi, prima come comandante del Nucleo investigativo del Gruppo Locri dei carabinieri e poi come comandante dello stesso reparto di Reggio Calabria, coordinato dal colonnello Vincenzo Franzese. “Voi siete bravo”. Giorgi ha perso la partita e ammette di essere stato sconfitto. Ma è quello che è avvenuto dopo che dà la dimostrazione plastica di come il territorio di San Luca e la sua società sia completamente infiltrata alla ‘ndrangheta. Anche in manette, infatti, il Giorgi dà prova del suo carisma e riesce a uscire dalla sua abitazione sotto gli sguardi di ammirazione dei suoi paesani.

Ad attenderlo sull’uscio della porta, infatti, ci sono vicini di casa e parenti i quali, piuttosto che applaudire i carabinieri per lo storico arresto di un latitante che mancava all’appello dal 1994, si sono avvicinati come se fossero suoi fan. Gli hanno stretto la mano e qualcuno gliel’ha anche baciata in segno di rispetto a un boss, conosciuto come “u Capra”, accusato di associazione mafiosa, traffico di droga e ricercato in mezza Europa anche per omicidio.

Fa pochi metri, prima di salire sulla macchina dei carabinieri che lo porterà in carcere, e ci sono altre persone e bambini che vogliono salutarlo. È il “cassiere della cosca” e una stretta di mano non si rifiuta a nessuno. Scene come questa rafforzano la ‘ndrangheta in un pezzo di terra, abbandonato da tutti e dalla politica che alla prossime amministrative non ha presentato nessuna lista. Un pezzo di terra dove la mentalità mafiosa porta a riconoscere le cosche al pari delle istituzioni nonostante le operazioni antimafia degli ultimi anni che hanno stroncato le famiglie storiche di San Luca, i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari, perennemente in faida tra loro e protagoniste della cosiddetta strage di Duisburg.

San Luca è la culla della ‘ndrangheta. A queste latitudini fare le indagini sulle cosche non è mai agevole sia per il contesto ambientale che sociale che caratterizza un paesino dell’Aspromonte conosciuto come teatro di una delle più sanguinarie faide di ‘ndrangheta. Nomi e cognomi che si ripetono da decenni. Tutti imparentati tra loro e tutti in qualche modo complici o vittime di boss, gregari, trafficanti di droga e killer spietati che non hanno risparmiato neanche le donne. Ed è proprio per questo motivo che, per arrivare nell’abitazione del latitante Giuseppe Giorgi, i carabinieri si sono mossi a piedi in modo non destare sospetto neanche tra i vicini di casa che, al posto del baciamano, avrebbero potuto avvertire il latitante dell’imminente blitz.

Una volta entrati nell’abitazione, inoltre, i carabinieri hanno dovuto operare tra i parenti del boss che urlavano e si sentivano male e che non allontanato neanche i bambini durante la perquisizione. Bastava poco per provocare una reazione spropositata di qualcuno per arrestare il latitante con un bilancio ben più grave. Ciò non è avvenuto perché i carabinieri, guidati dal comandante provinciale Giancarlo Scafuri, sono riusciti a mantenere un clima sereno mentre, con professionalità, portavano a termine uno dei più importanti arresti degli ultimi anni. Anche per questo, non deve meravigliare la scena in cui il boss esce dalla botola e si complimenta con i carabinieri e con il colonnello Mucci per l’operazione che ha portato al suo arresto e che, festeggiamenti, baciamani e complimenti a parte, vuol dire una sola cosa: Giuseppe Giorgi deve scontare 28 anni di carcere, molto probabilmente al 41 bis, e uscirà dal carcere solo quando di anni ne avrà 84.

Tuttavia se un boss come Giorgi, ritenuto uno dei principali broker della droga, viene salutato come il Papa a San Pietro, anche da chi quando ha iniziato la latitanza non era ancora nato, evidentemente San Luca continua a essere il luogo dove le regole dei clan e la riverenza ai capicosca sono più forti delle leggi dello Stato, dove un boss è tale anche se in manette e destinato a passare quasi trentanni in carcere. San Luca è anche il paese dove nel 2009 la squadra di calcio è scesa con il lutto al braccio per la morte dell’anziano patriarca Antonio Pelle detto “Gambazza”, il capo crimine della ‘ndrangheta arrestato pochi mesi prima dai carabinieri del Ros all’ospedale di Polistena dov’era ricoverato per curare un’ernia strozzata. Non è la prima volta che avvengono gesti di riverenza nei confronti di boss. Solo pochi anni fa, quando a Reggio Calabria è stato arrestato il boss Giovanni Tegano, fuori dalla questura si sono riuniti centinaia di amici e familiari che hanno salutato il mammasantissima di Archi con la frase “È un uomo di pace”. Mandava i bacetti, invece, il boss Giuseppe De Stefano quando è stato catturato nel dicembre 2008.

Procuratore de Raho: “Nessuna debolezza dello Stato”
La scena del baciamano è “ignobile, ma non è certo né condivisione né tantomeno segno di debolezza dello Stato che anzi, in questa occasione, ha dato una straordinaria dimostrazione di forza” ha dichiarato all’Ansa il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho. “I carabinieri che si abbracciano felici come bambini dopo l’arresto – ha aggiunto – sono la parte più bella di uno Stato efficiente in grado di catturare un latitante“. L’episodio, secondo il capo della Dda reggina, si è verificato per il contesto particolare in cui è maturato. “I carabinieri – ha spiegato de Raho – non l’avrebbero mai permesso ma si sono trovati a muoversi in un corridoio lungo e stretto dove era difficile anche muoversi affiancati. In più è giunto al termine di una perquisizione durata oltre cinque ore nel corso delle quali i militari hanno lavorato in presenza di persone in casa che urlavano e minacciavano dicendo che non c’era nessuno. Noi, inoltre, conosciamo bene la forza militare della ‘ndrangheta, ed in quel contesto, i carabinieri erano anche impegnati a guardarsi intorno. L’importante era portare via Giorgi senza problemi ed è quello che è stato fatto”. “L’aspetto straordinario di questa vicenda – ha sottolineato il magistrato – è stata la capacità dei carabinieri, con il coordinamento della Dda, di raggiungere l’obiettivo della cattura del latitante più importante. Un risultato ottenuto con la sola capacità di indagine, senza ricorrere a confidenti. Noi, inquirenti ed investigatori, non abbiamo rapporti con la criminalità. Non intendiamo dare riconoscimenti a nessuno”. “Un risultato – ha detto ancora de Raho – raggiunto con il sacrificio di uomini e donne dell’Arma che hanno lavorato 24 ore di seguito ed anche di più perché l’importante è raggiungere il risultato. In altri Stati, al termine del servizio staccano, qua no. Quei ragazzi e ragazze sono andati avanti fino a centrare il risultato, senza guardare l’orologio. Una situazione che ho il privilegio e conoscere e condividere. Il festeggiare insieme, l’abbracciarsi è un po’ come tornare bambini, è dimostrare l’amore per il proprio lavoro. E quella è la parte più bella dello Stato“.

Il vescovo di Locri: “Boss non merita alcun rispetto”
“Colpisce questo atteggiamento verso una persona che viene portata via da casa dalle forze dell’ordine per essere arrestato” dice il vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva. Un gesto di “attenzione” e di “rispetto”: “Rispetto tra virgolette – dice il presule – perché esprime un ossequio verso il boss e dimentica quello che c’è dietro comportamenti mafiosi e criminali che non meritano alcun rispetto. Purtroppo tutto questo è sintomo di una mentalità di ossequio al mafioso di turno che sta ad esprimere l’atavica suggestione psicologica della gente verso queste persone”. “Intollerabile il bacio a mani di morte e di sofferenza. Quel gesto – dice all’Adnkronos don Ennio Stamile, referente di ‘Libera’ per la Calabria – è emblematico di una situazione che da decenni si vive in Calabria. Una vergogna intollerabile il bacio a mani di morte e di sofferenza”. Il sacerdote guarda con preoccupazione anche alla circostanza che il boss, prima di essere trasferito in carcere, sia stato omaggiato anche da bambini: “sin da piccoli si educa alla riverenza dei boss come fossero una sorta di eroi o comunque persone che producono reddito”.

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