Sui giornali non c’erano ancora che le iniziali, il 21 dicembre. Ma polizia e servizi lo conoscevano bene, sapevano dove cercarlo. Quel giorno la caccia era scattata nel Nord Reno-Vestfalia: le teste di cuoio avevano puntato su Kleve, cittadina da 50mila abitanti a 129 km da Dortmund, la cui squadra di calcio è finita nel mirino del terrorismo l’11 aprile a poche ore della gara di Champions League con il Monaco. In un centro di accoglienza di Emmerich sul Reno, a 15 km da Kleve, aveva vissuto Anis Amri, l’uomo che il 19 dicembre aveva ucciso 12 persone lanciandosi con un tir sul mercatino di Natale di Berlino. Ora il nome del terrorista ritorna nella rivendicazione del fallito attacco di martedì. Nelle tre lettere anonime scoperte sul luogo in cui sono esplose le bombe al passaggio del bus del Borussia, Amri viene definito il “benedetto fratello” che ha ucciso “12 pagani“. La polizia ha arrestato un iracheno di 25 anni ed è sulle tracce di un tedesco di 28: entrambi, riporta il quotidiano locale Kölner Stadt Anzeiger, “fanno parte della scena islamista del Nord Reno-Vestfalia”. Nella quale si muoveva a suo agio Amri, insieme ad alcuni tra i più pericolosi islamisti di Germania.

La data è l’8 novembre 2016. Quel giorno la polizia arrestava 5 persone. Tra loro c’era Ahmad Abdelazziz A., vero nome di Abu Walaa, 32 anni. I cinque, secondo l’accusa, reclutavano giovani musulmani per conto dell’Isis nell’area a cavallo tra la Bassa Sassonia e il Nord Reno-Vestfalia. Il colpo grosso era l’iracheno, protagonista del web con i suoi sermoni video in cui appariva sempre di spalle – consuetudine che gli era valso il soprannome di “predicatore senza volto” – animatore della moschea di Hildesheim, perquisita nel luglio precedente e considerata “importante luogo di incontro degli ambienti salafiti” di livello nazionale di cui Walaa era considerato capo ideologico. Passava appena una settimana e il ministro dell’Interno Thomas De Maiziere annunciava la messa al bando de “Die wahre Religion” (La vera religione), organizzazione salafita che sotto alla distribuzione in strada di copie del Corano – 3 milioni in pochi anni – contattava giovani, li radicalizzava e li mandava a combattere con lo Stato Islamico in Iraq e Siria. Il tutto sotto la regia di Walaa.

Il 12 novembre, 4 giorni dopo l’arresto dell’emiro del jihadismo tedesco, Amri viene segnalato dalle autorità come una “potenziale minaccia” per la sicurezza. Il predicatore senza volto e l’attentatore di Berlino si conoscevano. Bene. Lo rivelano le tracce lasciate da Amri. In Germania il tunisino appare nel luglio del 2015. Si stabilisce in Nord Reno-Vestfalia, e lì stringe contatti con il gruppo di Walaa. La polizia criminale della regione, la Lka, lo mette nero su bianco: Amri viene definito uno “stretto contatto” del predicatore cui aveva “chiesto spesso consigli particolari in diversi seminari tenutisi nella moschea di Hildesheim”. Non solo: la polizia registra come almeno altri 14 nomi della scena salafita tedesca, a loro vola legati ad Abu Walaa, fossero “molto vicini ad Amri”. Due in particolare: il commerciante Hasan C. e il predicatore Boban Simeonovic, presso la cui madrasa il killer di Berlino aveva dormito più volte e della quale aveva a disposizione anche le chiavi.

Ancora: Amri aveva usato come base logistica diversi luoghi utilizzati nell’area della Ruhr – regione del Nord Reno-Vestfalia – dalla rete di Walaa, tra cui un appartamento usato per il reclutamento di jihadisti.E i legami tra Amri e la regione affiorano sempre più forti con il passare del tempo. Secondo la tv pubblica locale Westdeutscher Rundfunk Köln, “le autorità descrivevano la pericolosità del killer ancora il 14 dicembre, 5 giorni prima dell’attentato” a Berlino. Amri, inoltre, “aveva più contatti in Nord Reno-Vestfalia rispetto a quanto finora ritenuto”, “aveva frequentato numerose moschee, 12 delle quali nella Ruhr” e “dalla fine del 2015 faceva il pendolare fra la Ruhr e Berlino”. A Dortmund poi aveva, tra gli altri, legami con due uomini considerati in contatto con l’Isis: “un russo e un marocchino“, secondo un’informativa inviata il l’11 ottobre 2016 dai servizi segreti marocchini ai colleghi tedeschi del Bnd.

Il maggiore centro della Ruhr era finito nel mirino degli investigatori nelle ore immediatamente successive alla strage nel mercatino. Il 22 dicembre le forze speciali fermavano e poi rilasciavano 4 persone a seguito di due blitz in due appartamenti. Il giorno successivo due fratelli kosovari di 28 e 31 anni venivano fermati a Duisburg, 58 km da Dortmund, perché sospettati di voler preparare un attentato in un centro commerciale di Oberhausen, distante 15 km. Ma le operazioni dell’antiterrorismo nella regione roccaforte del jihadismo – nella quale è attestata negli ultimi anni la presenza di esponenti di Al Qaeda – proseguivano da anni e nel novembre 2015 si erano intrecciate con le ricerche di Salah Abdeslam, l’unico superstite del commando che aveva compiuto la strage di Parigi del 13 novembre: il 24, la polizia aveva lanciato un blitz a Rahden, nel distretto di Minden-Luebbecke, dove si riteneva che il terrorista potesse aver avuto agganci.

L’attenzione delle autorità non è mai scesa e pochi mesi fa un allarme aveva riguardato il mondo del calcio. Il 9 agosto 2016 le teste di cuoio della Sek arrestavano un siriano di 24 anni a Mutterstadt, cittadina della Renania palatinato: il ragazzo era accusato di pianificare un attentato in occasione della prima gara della Bundesliga, il successivo 26 agosto, tra il Bayern Monaco e il Werder Brema. A lanciare l’allarme erano state proprio le autorità del Nord Reno-Vestfalia, la regione che aveva accolto accolto il presunto jihadista come profugo.

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