Guai giudiziari il finanziere Vincent Bolloré. Come si augurava Silvio Berlusconi, la procura di Milano è intervenuta nell’affare MediasetVivendi indagando per aggiotaggio il raider francese e suo braccio destro Arnaud De Puyfontaine, numero uno di Vivendi. I pm milanesi Fabio De Pasquale e Stefano Civardi hanno infatti aperto un fascicolo sull’operazione di acquisto titoli che, nel dicembre scorso, ha portato l’azienda di Bolloré a diventare secondo socio del gruppo di Cologno Monzese con il 28,8% del capitale e il 29,94% dei diritti di voto. Alla base delle indagini, l’esposto presentato dalla cassaforte della famiglia Berlusconi, Fininvest, proprietaria del 40% di Mediaset. Nel documento, depositato tempo fa in Procura e in Consob, i legali dell’ex Cavaliere sostenevano che, dopo aver stretto un accordo per l’acquisto della pay tv Premium, Bolloré e la sua Vivendi avessero rinnegato l’intesa per creare artificiosamente le condizioni per il ribasso del titolo Mediaset nel preciso intento di acquistare poi azioni a prezzi di saldo.

In una nota, Vivendi ha commentato scrivendo che l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici “è il risultato di una causa infondata e illegittima depositata dai Berlusconi” e “ciò non significa in alcun modo una qualsiasi accusa contro qualcuno”. E’ presto per dire se le indagini daranno ragione alle teorie di Mediaset, ma intanto il mercato ha già reagito alla notizia con il titolo Vivendi che ha lasciato sul terreno a Parigi il 3,9%, mentre Mediaset a Milano ha chiuso la seduta a -1,34 per cento.

Al di là delle reazioni di Borsa, di certo la notizia segna un punto a favore di Berlusconi che intanto attende anche il responso di Consob e Agcom alle quali Mediaset ha da tempo fatto appello, evidenziando, come, ai sensi del testo unico delle comunicazioni e della Gasparri, Vivendi non possa essere contemporaneamente socio di peso in Mediaset e Telecom Italia. L’autorità di vigilanza guidata da Giuseppe Vegas, ex parlamentare Pdl e viceministro dell’Economia nel quarto governo Berlusconi, ha già ascoltato le ragioni di Vivendi e di Mediaset. Ma non ha una deadline per esprimersi sulla faccenda: l’inchiesta richiede infatti tempo dal momento che coinvolge anche una serie di operazioni fatte attraverso intermediari stranieri. L’Agcom del montiano Angelo Cardani ha, invece, sospeso il giudizio fino al 21 aprile, data successiva alla prima udienza in tribunale (21 marzo) per la richiesta di maxirisarcimento presentata da Mediaset nei confronti di Vivendi per il voltafaccia su Premium.

Di certo se Mediaset dovesse spuntarla sarebbero guai seri per Vivendi e per Bolloré che ha investito decisamente molto nella campagna d’Italia. E una vendita repentina, obbligata o volontaria che sia, sarebbe probabilmente foriera di per Vivendi. A dicembre dello scorso anno solo per rastrellare il 28% di Mediaset i francesi hanno infatti messo sul piatto più di 1,3 miliardi di euro. Certo da allora le azioni di Cologno Monzese sono passate da 2,71 euro del 12 dicembre agli attuali 3,84 euro, ma Vivendi le ha pagate mediamente 3,82 euro per azione. Per ricostruire invece il pacchetto (23,9%) di Telecom Italia, diluita dal convertendo, la media company di Bolloré ha dovuto sborsare 6 miliardi. In cambio l’ex monopolista dei telefoni ha contribuito ai risultati di Vivendi per 173 milioni (quasi il 14% del totale). Ma Bolloré sa bene che il futuro di Telecom non è affatto rose e fiori visto che la società è gravata da 25 miliardi di debiti e dovrà effettuare ingenti investimenti nella fibra in concorrenza con la società a partecipazione pubblica Enel Open Fiber (controllata da Cdp e Enel). La situazione insomma è assai delicata per i francesi. Non a caso, in occasione della presentazione dei risultati annuali a Parigi, l’amministratore delegato di Vivendi de Puyfontaine ha teso la mano alla famiglia Berlusconi. “Rimaniamo aperti e fiduciosi in una soluzione positiva del contenzioso Mediaset”, ha spiegato il manager ad una manciata di ore dalla notizia dell’avvio delle indagini per aggiotaggio su Bolloré.

Nel frattempo peraltro si sta muovendo anche il governo: già a dicembre il premier Paolo Gentiloni aveva lanciato un avvertimento agli assedianti francesi, pur avendo le armi spuntate, e ora l’esecutivo si prepara a inserire nel ddl Concorrenza nuove norme contro le scalate a società operanti in “settori di interesse strategico” che dovrebbero in teoria consentire di contrastare l’avanzata del bretone. Secondo il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, si tratta di una norma “anti scorrerie“, che “dirà che se compri il 5% di una società devi dichiarare perché lo stai facendo”.

E giovedì, nelle stesse ore in cui a Parigi parlava de Puyfontaine, a Roma si discuteva anche un altro dossier caro a Vincent Bolloré: le Generali. Il numero uno di Unicredit, Jean-Pierre Mustier ha infatti incontrato Gentiloni. Come ha raccontato  Il Fatto Quotidiano, a poche ore dalla fine del maxiaumento di capitale della banca, il manager e il primo ministro hanno fatto il punto sulle Generali, controllate dalla Mediobanca di cui sono azionisti sia Bolloré che Unicredit. Il tema è estremamente delicato per il governo che sa bene come il Leone di Trieste faccia gola ai francesi e soprattutto quanto sia importante per l’Italia visto che custodisce oltre 70 miliardi di titoli pubblici. Dal punto di vista di Bolloré il dossier Generali è invece soprattutto uno dei pochi strumenti di pressione su Roma per riuscire a far quadrare una campagna d’Italia che si sta rilevando decisamente più dura del previsto.

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