La prima udienza è prevista per il 13, la seconda per il 17 ottobre, in un’aula della High Court di Londra: non che se ne parli molto sui media, ma i siti web che seguono la vicenda Brexit da un punto di vista tecnico giuridico sono inclini a non trascurare queste date. Tutto ruota intorno all’interpretazione del testo dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea che prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall’Unione: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”.

La Gran Bretagna non ha una Costituzione scritta ma la sua Costituzione non scritta attribuisce un ruolo fondamentale al Parlamento dai tempi in cui è stato istituito. Dunque la possibilità che il risultato di un referendum non vincolante, ma solo consultivo, possa autorizzare il governo ad agire in forza della cosiddetta Royal Prerogative attivando direttamente la procedura dell’articolo 50, senza consultare il Parlamento, a qualcuno non è parsa conforme alle norme costituzionali.

Certamente la firma di un trattato internazionale è materia riservata all’esecutivo, tuttavia, perché esso diventi legge nazionale, è necessaria la ratifica del Parlamento. Così è accaduto nel caso dello European Communities Act del 1972 con cui il Parlamento britannico ha ratificato il trattato sull’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea.

Ora alcuni cittadini dichiarano di sentirsi defraudati dei diritti acquisiti con la legge approvata nel 1972 se il Parlamento non potrà dire la sua a proposito dell’avvio della procedura dell’articolo 50 e hanno incaricato un nutrito e agguerrito gruppo di avvocati di contestare al governo l’uso della Royal Prerogative in questo caso. Infatti, se è vero che un governo, in forza della Royal Prerogative, può firmare un trattato internazionale, è anche vero che il Parlamento deve poi ratificarlo perché diventi legge nazionale. Però, una volta ratificato e divenuto legge, anche l’esecutivo deve obbedire a quella legge e, per ora, la legge dice che il trattato è in vigore.

Lo studio legale Bindmans che rappresenta una delle parti, People’s Challenge, un’associazione contraria all’uso della Royal Prerogative, ha pubblicato un documento contenente le tracce con gli argomenti a favore dell’intervento del Parlamento. Il governo, da parte sua, ma solo dopo un’intimazione del giudice, ha fatto lo stesso concedendo la pubblicazione dei propri argomenti contrari.

Sarà il Lord Chief Justice of England and Wales, Lord Thomas of Cwmgiedd, a presiedere l’udienza. Tre sono gli studi legali che hanno accettato di sostenere le ragioni dei ricorrenti: Edwin Coe, Bindmans e Mishcon de Reya, che ne ha incaricato l’avvocato David Pannick, una delle star del firmamento legale britannico. Per il governo, qui nella persona di David Davis, ministro per la Brexit, parleranno, fra gli altri, l’avvocato James Eadie e l’Attorney General Jeremy Wright.

Quale che sia la decisione del giudice ci sarà certamente, saltando la fase dell’Appello, un ricorso alla Corte Suprema che dovrebbe discutere il caso entro la fine dell’anno.

Se le tesi dei ricorrenti avessero la meglio e la decisione fosse rimandata al Parlamento il risultato sarebbe incerto. L’attuale maggioranza parlamentare è notoriamente contraria all’uscita dall’Ue e potrebbe profilarsi la necessità di nuove elezioni in cui i candidati, alla luce dell’esito del referendum, sarebbero tenuti a chiarire in anticipo le loro posizioni per permettere agli elettori di scegliere consapevolmente i nuovi rappresentanti.

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