Artigiani e commercianti, capeggiati da Federdistribuzione, sono sul piede di guerra contro la nuova Segnalazione certificata di inizio attività (Scia), pensata dal governo di Matteo Renzi che invece di accelerare le nuove intraprese commerciali rischia di frenare investimenti e libertà d’impresa. Sotto tiro lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 15 giugno (conosciuto tra gli addetti ai lavori come Scia2), immaginato per facilitare le aperture di nuovi esercizi, ma che di fatto offre ai sindaci poteri perfino nella scelta della merce che si può vendere o meno in città.

La battaglia è partita al Senato dove l’associazione presieduta da Giovanni Cobolli Gigli parla di “norme palesemente anticostituzionali” perché si concede ai Comuni “la possibilità discrezionale e discriminatoria di porre vincoli e restrizioni allo stabilimento delle attività economiche, utilizzando in modo strumentale l’obiettivo di tutelare il patrimonio culturale di aree aventi particolare valore storico o archeologico”. Insomma, i primi cittadini si trasformerebbero in una sorta di sceriffi pronti a decidere ciò che è giusto o sbagliato mettere in commercio con il pretesto di salvaguardare l’identità e la storia della propria città.

La materia del contendere è il comma 3 del primo articolo che “consente al Comune, d’intesa con la Regione, sentito il soprintendente, di individuare, con apposite deliberazioni, zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l’esercizio di una o più attività con riferimento al tipo o alla categoria merceologica, individuate in commercio, edilizia e ambiente”.

In pratica, la nuova Scia così scritta non fa altro che replicare a livello nazionale quello che la giunta di del sindaco Dario Nardella ha fatto a Firenze, dove con lo spauracchio del centro storico patrimonio dell’Unesco, si è vietato a McDonald’s di aprire un proprio store sotto la cupola del Brunelleschi. Solo che se il metodo Nardella, a quanto pare condiviso e sponsorizzato dal ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, diventa un modus vivendi a livello nazionale significa per Federdistribuzione “che le imprese commerciali saranno in balia degli umori dei primi cittadini” che, con il pretesto di proteggere i loro centri storici, potranno perfino decidere le categorie merceologiche, bandendo ad esempio i negozi di intimo, i minimarket e le pizzerie a taglio e magari favorendo attività più chic come vinerie o quant’altro. “E’ del tutto evidente – si legge in un documento dell’associazione che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere– come tale norma sarebbe incostituzionale per eccesso di delega rispetto all’articolo 5 della legge 124/2015 (Riforma della Pa), in contrasto con le norme di liberalizzazione del Salva Italia e Cresci Italia, oltre che in violazione delle regole sulla corretta ripartizione delle competenze legislative tra Stato ed enti locali”.

Un bel pasticcio, quindi. Basta vedere cosa è successo a Firenze dove il comune dapprima aveva aperto alla multinazionale americana pronta a rilevare un negozio sportivo in disuso e poi attraverso una Commissione ha respinto al mittente l’investimento. Rimproverando a McDonald’s – come si legge nel verbale – “di vendere patatine fritte (tipologia di somministrazione assimilabile pienamente alla definizione di fast food), di utilizzare prodotti surgelati (hamburger, cotolette, bocconcini di pollo, filetti di pesce) che, per la loro tipologia, rappresentano ampiamente la base per la preparazione della maggioranza dei prodotti venduti e che l’incidenza dei prodotti stagionali e dell’angolo toscano seppur apprezzabile non è prevalente”, oltre al fatto che “sul progetto architettonico, vetrine e insegne, si conferma l’impressione negativa sull’impatto del logo sulla facciata prospiciente piazza Duomo”. Insomma, contestando a McDonald’s di essere McDonald’s.

Per questo Federdistribuzione e altre associazioni sono preoccupate: “Perché se è successo a una multinazionale che ha i poteri anche per difendersi, figurarsi cosa potrebbe fare un piccolo esercizio commerciale in balia di lacci e lacciuoli comunali, dove nell’Italia dei mille campanili ciascuno ha un angolo di storia da proteggere”. Insomma, se il modello da seguire fosse Firenze dicono artigiani e commercianti, sarebbe la fine. Basta vedere cosa è successo con l’approvazione del Regolamento Unesco varato da Palazzo Vecchio che ha messo con un colpo solo fuori legge oltre 200 negozi del centro storico. A rischio di chiusura e scomparsa perché magari sono esercizi con meno di 40 mq e sprovvisti di servizi igienici di cortesia accessibili ai disabili o perché vendono pizza o kebab. Le liberalizzazioni introdotte dal governo Monti sono un ricordo, adesso a prevalere è il “principio d’identità” che però metterebbe a rischio, secondo gli addetti del settore, addirittura la libertà d’impresa.

 

di Enrico Cresci

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