Il prossimo sindaco di Palermo? Potrebbe essere espressione della minoranza dei votanti. Ad eleggerlo, infatti, saranno appena quattro cittadini su dieci che si recheranno alle urne: prenderà il quaranta percento dei voti, diventerà sindaco senza passare dal ballottaggio ottenendo anche il 60 percento dei seggi in consiglio comunale.  Lo stabilisce un emendamento approvato dall’Assemblea regionale siciliana all’articolo 2 della nuova legge che regolerà le prossime elezioni amministrative sull’isola. Tra rinvii e momenti di tensione in aula il Parlamento siciliano ha infatti impiegato cinque giorni per votare tutti gli articoli della nuova riforma elettorale, approvata in via definitiva soltanto nella serata di martedì 9 agosto con 42 voti voti a favore, 23 contrari e 2 astenuti.  Una norma già bollata da più parti come “legge truffa” che cancella con un rapido colpo di penna la classica elezione a maggioranza semplice per le amministrative.

Il sindaco? Lo elegge la minoranza – Fino a ieri, infatti, se un candidato prendeva il 50 percento più uno dei voti validi ecco che diventava sindaco: in caso contrario per eleggere il nuovo primo cittadino si sarebbe dovuto passare dal ballottaggio.  Un metodo semplice, quasi identico per le elezioni comunali di tutta Italia. Potevano i deputati siciliani farsi bastare quella legge così fastidiosamente simile a quella delle altre Regioni? Potevano continuare ad eleggere i sindaci a colpi di maggioranze semplici ed eventuali secondi turni? No, non potevano. Ed ecco che Palazzo dei Normanni ha dunque creato i primi sindaci di minoranza (o maggioranza relativa, che dir si voglia) della storia. E dire che Marco Falcone, un deputato regionale eletto da Forza Italia a Catania, ci aveva provato a far ragionare gli “onorevoli colleghi”.”Rinviamo tutto a settembre quando gli animi sono più sereni, quando non c’è la foga di corsa e rincorsa che ci fa autoincidentare” aveva detto venerdì scorso mentre a Palermo il termometro superava i trenta gradi.

I 5 Stelle: “È Truffarellum” – Niente da fare però: gli instancabili deputati siciliani hanno tirato dritto, approvando l’emendamento che ha fatto imbestialire i parlamentari del Movimento 5 Stelle. “Avete fatto una legge contro di noi, avete approvato il Truffarellum: ma la pagherete tutti, tutti i partiti, i cittadini sapranno come comportarsi”, è il furioso commento di Giancarlo Cancelleri. Gli fa eco il collega Francesco Cappello che fa notare come “in Sicilia viene stravolto un principio matematico: vince la minoranza“. L’isola che ha sancito il primo exploit dei pentastellati alle elezioni del 2012, infatti, è anche la Regione con più città amministrate dai grillini: sono 8 su un totale di 38 a livello nazionale. Una è stata conquistata nel 2013, un’altra nel 2014, tre nel 2015 e quattro alle amministrative di giugno: una crescita costante, che ha beneficiato soprattutto della capacità dei 5 Stelle di vincere tutti i ballottaggi a cui hanno partecipato. Con l’abbassamento della soglia che prevede la vittoria al primo turno, però, il gioco per i grillini si complica.

Il ritorno del trascinamento – E non è solo un problema di principi matematici. La nuova legge elettorale, infatti, oltre a prevedere l’elezione diretta di un sindaco con “appena” il 40 percento dei voti, introduce anche il principio del trascinamento: se l’elettore indica solo la preferenza per la lista o il consigliere comunale, ecco che il voto va in automatico anche al candidato sindaco collegato, mentre per sfiduciare il primo cittadino basterà il 60 percento dei consiglieri e non più i due terzi. Logico dunque che la nuova norma avvantaggi implicitamente le grandi coalizioni, quelle che presentano più liste in sostegno di un solo sindaco, magari piene di piccoli ras locali della preferenza. Un particolare che non colpisce solo i 5 Stelle, che alle elezioni presentano una sola lista e notoriamente contrari agli apparentamenti, ma anche politici che non appartengono ai partiti classici.

Una legge contro Leoluca Orlando? – Come Renato Accorinti, eletto sindaco di Messina nel 2013 contro una lista civica, dopo che al primo turno il suo sfidante Felice Calabrò, sostenuto dal Pd di Francantonio Genovese, si era fermato al 49 percento: con la nuova legge non ci sarebbe stato alcun ballottaggio. O come Leoluca Orlando, per quattro volte eletto sindaco di Palermo, storicamente titolare di un consenso granitico, ma ormai un apolide delle tessere di partito. E non è un caso se nella primavera del 2017 la prima grande città che dovrebbe sperimentare la nuova legge elettorale è proprio il capoluogo siciliano: Orlando intende ricandidarsi, dovrebbe avere i favori del pronostico, ma il meccanismo del trascinamento sembra creato proprio per rendergli più difficile la quinta elezione. “Questa Regione inesistente pensa soltanto ad approvare leggi in un periodo di campagna elettorale per cambiare le regole del gioco e per mantenere un sistema di caste che ha distrutto la Sicilia: hanno fatto una legge contro Orlando, ma per fortuna esistono gli elettori”, tuona il primo cittadino palermitano.

Udc: “Difficile prendere il 40 percento” – Non la pensa così, invece, Mimmo Turano, capogruppo dell’Udc in Parlamento regionale, secondo il quale “questa non è una legge contro nessuno. Oggi prendere il 40 percento dei voti è difficilissimo perché siamo in un sistema che non è più bipolare, ma è diventato tripolare: bisogna considerare anche che spesso il 40 percento dei voti presi al primo turno equivale a un numero di preferenze maggiori rispetto a chi prende – per esempio – il sessanta percento al ballottaggio, quando a votare va molta meno gente”.

“Una riforma per non votare contro” – E d’altra parte lo stesso Falcone – quello che voleva chiudere tutto e rinviare a settembre per evitare il singolare rischio di “autoincidentare”-  qualche settimana fa confessava al quotidiano livesicilia.it che “la nostra proposta intende  prendere atto del cambiamento di cui è stato oggetto il sistema politico italiano e siciliano. Siamo passati dal bipolarismo al tripolarismo. E in questa condizione, troppo spesso si finisce per votare al secondo turno contro qualcuno, piuttosto che a favore di qualcuno”. La proposta di Falcone e soci era in quel momento ancora più spregiudicata della legge poi approvata: prevedeva infatti la cancellazione definitiva del turno di ballottaggio. Chi avrebbe preso più voti diventava sindaco. Idea piaciuta alla commissione affari istituzionali dell’Ars, che infatti l’aveva inclusa nella prima bozza di legge. Alcuni mal di pancia interni al Pd, però, hanno costretto i parlamentari a correggere il tiro, reintroducendo il secondo turno e la relativa soglia del 40 percento.  È in questo modo che l’isola degli alambicchi, da mezzo secolo laboratorio politico d’Italia, ha salvato i ballottaggi inventando i primi sindaci di minoranza della storia. A Roma, probabilmente, prendono appunti.

Twitter: @pipitone87

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