“Vorrei che fosse chiaro che questa è la nuova ‘ndrangheta, che nasce dalla commistione tra la vecchia struttura criminale di tipo mafioso e la massoneria“. È il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice detto il ‘Nano’, assieme al pentito Cosimo Virgilio, a dare al sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo i riscontri sui cosiddetti “invisibili” che tirano le fila a Reggio Calabria. Le carte dell’inchiesta “Mamma Santissima”, nell’ambito della quale è stato chiesto al Parlamento l’arresto per associazione mafiosa anche del senatore Caridi, rischiano così di riscrivere la storia, non solo politica, di una città dove sono ancora troppe le domande che non hanno avuto una risposta. Punti interrogativi che possono essere svelati solo dopo aver letto tra le pieghe del rapporto massoneria-‘ndrangheta- politica-servizi segreti deviati.

Il tritolo del 2004 per Scopelliti
A partire dai tre panetti di tritolo piazzati nell’ottobre del 2004 in un bagno di Palazzo San Giorgio e trovati grazie a tre informative firmate dal numero due del Sisde Marco Mancini. Una bomba, collegata a un telefonino, che non poteva esplodere perché non aveva l’innesco. Le barbe finte del Sismi avvertirono la squadra mobile di allora che era stata la ‘ndrangheta a piazzare l’ordigno e che questo era indirizzato al sindaco Giuseppe Scopelliti, messo sotto scorta ancora prima del rinvenimento dei panetti da parte degli uomini del questore Vincenzo Speranza. A distanza di 12 anni, nessuno era riuscito a scoprire quale famiglia mafiosa aveva gestito l’operazione ma solo che il tritolo era quello della “Laura C”, la nave affondata a largo della costa jonica con tonnellate di esplosivo nella stiva diventata il supermarket della ‘ndrangheta. Solo pochi giorni fa, il procuratore De Raho ha spiegato che la collocazione di quell’esplosivo sarebbe stato un avvertimento del gruppo Romeo-De Stefano per ottenere un duplice effetto: da una parte condizionare Scopelliti e dall’altro dare di lui l’immagine di un amministratore bersaglio della ‘ndrangheta, favorendone l’ascesa politica. Una messa in scena, quindi, organizzata nei minimi particolari dalle stesse persone in grado di lasciare fuori l’ala militare delle cosche, fare arrivare il messaggio al vice di Pollari e, allo stesso tempo, creare le condizioni affinché di quel tritolo non si sapesse più nulla.

I pentiti e la “Breccia di Porta Pia”. Dove la massoneria cerca la ‘ndrangheta
Alla luce anche di questo, è più comprensibile quanto il pentito Lo Giudice spiega al pm Lombardo il 21 giugno scorso: “In questa nuova organizzazione, la parte identificabile con la vecchia ‘ndrangheta è incaricata di gestire i rituali e di svolgere una funzione di parafulmine rispetto alla componente più importante e riservata, che attraverso i rapporti con ulteriori apparati massonici gestisce un enorme potere anche in campo politico ed economico”. Nino il “Nano” riferisce ai magistrati quello che in cella gli ha raccontato il collaboratore Cosimo Virgilio, profondo conoscitore dei grembiulini calabresi che aveva svelato alla Dda come le cosche della Piana di Gioia Tauro avevano imposto la mazzetta del 3% alle imprese che hanno ammodernato la Salerno-Reggio Calabria. “(Virgilio, ndr) mi confidò – dice Lo Giudice – che faceva parte di una società segreta chiamata massoneria e che era costituita da tre tronconi: una legalizzata (di cui facevano parte professionisti di alto livello come giudici, servizi segreti deviati e uomini dello Stato), la seconda da politici, avvocati e commercialisti, e la terza da criminali con poteri decisionali e uomini invisibili che rappresentavano il tribunale supremo che giudicavano la vita e la morte di ogni affiliato, tutti uniti in unica potenza incontrastata”. È ancora più chiaro lo stesso Virgilio che al pm Lombardo illustra come “materialmente è avvenuta l’interrelazione tra la componente massonica e quella tipicamente criminale”. Nel gergo massonico lo chiamano la “breccia di Porta Pia”. In realtà è una sorta di camera di compensazione a una sola entrata, un “varco” tra il mondo della ‘ndrangheta e quello dei grembiulini costituito da una “nuova figura criminale che è identificata con la Santa”.

“È importante – continua Virgilio – precisare che, attraverso quel “varco” costituito dai santisti (soggetti insospettabili), il mondo massonico entra nella ‘ndrangheta e non viceversa, per quello che io ho vissuto e percepito. Devo precisare ancora che il ruolo di santista all’interno della ‘ndrangheta non consente in automatico il contatto con la massoneria: è necessario, invece, perché questo contatto avvenga, che si individuino ulteriori soggetti “cerniera”, che noi definivamo soggetti in giacca, cravatta e laurea, che fossero in grado di curare queste relazioni senza che fossero direttamente individuabili”. Mafiosi e massoni insieme quindi. In numerose inchieste ci sono tracce del fascino per la squadra e il compasso nutrito dai boss. Con l’operazione “Mamma Santissima”, però, scopriamo che è avvenuto soprattutto il contrario: sono i massoni che aprono quel “varco” dove i loro interessi si mescolano con quelli della ‘ndrangheta. “Il sistema allargato, composto tanto dagli elementi massonici che da quelli tipicamente di ‘ndrangheta, – è sempre il pentito Virgilio a parlarne con il pm Lombardo – aveva come obiettivo finale quello di garantire alla componente massonica, fortemente politicizzata, la gestione dei flussi elettorali. La componente di ‘ndrangheta mirava al consolidamento degli ingenti capitali sporchi, già formati, che andavano ricollocati sul mercato, anche estero, mediante strumenti finanziari evoluti, gestiti attraverso gli appartenenti alla massoneria”.

Il Gran Maestro Di Bernardo: “Logge controllate dalle cosche”
Nelle carte dell’inchiesta “Mamma Santissima”, il racconto dei pentiti si incastra alla perfezione con quello dei massoni. A parlare ai magistrati è il professore Giuliano Di Bernardo, Gran maestro del Grande Oriente d’Italia, “non un quisque del populo” chiarisce il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. Interrogato nel marzo del 2014, infatti, Di Bernardo “ha illustrato quella che lui stesso aveva percepito essere una sorta di compenetrazione fra una certa massoneria e la criminalità organizzata, specie calabrese”. “Entrato in massoneria nel 1961, – sono le sue parole – nel 1993, dopo essere fuoriuscito dal Goi (in cui ero stato nominato Gran Maestro), fondai La Gran Loggia Regolare d’Italia, nel 2002 … in quanto rimasi deluso anche di questa nuova esperienza. La Gran Loggia Regolare d’Italia è stata riconosciuta dalla massoneria inglese. Il Goi disconosciuto. In relazione a queste vicende ho avuto diretti contatti con il Duca di Kent che è al vertice della massoneria inglese che è la vera massoneria. Ettore Loizzo, ingegnere di Cosenza, mio vice nel Goi, nel corso di una riunione della Giunta (una sorta di cda del Goi in cui era presente anche il mio successore Gustavo Raffi, attuale Gran maestro) che io indissi con urgenza nel 1993 dopo l’inizio dell’indagine del dottor Cordova sulla massoneria, a mia precisa richiesta, disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io feci un salto sulla sedia. Gli dissi subito: e cosa vuoi fare di fronte a questo disastro. Lui mi rispose: nulla. Io ancora più sbigottito chiesi perché. Lui mi rispose che non poteva fare nulla perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie. Fu questo che mi indusse prendere contatti con il Duca di Kent a cui esposi la suddetta situazione. Lui mi disse che già sapeva questa situazione tramite notizie da lui avuti dall’Ambasciata in Italia e dai servizi di sicurezza inglesi”.

La rievocazione dei verbali di Di Bernardo provoca la dura reazione di Stefano Bisi, Gran maestro dl Grande Oriente d’Italia. “Il Grande Oriente d’Italia, pur non avendo nulla a che fare in termini di ruolo, di logge e dei suoi iscritti” con l’inchiesta, sostiene Bisi, “è stato poi strumentalmente e forzatamente evocato in tale contesto dagli organi d’informazione”. Secondo il Gran Maestro, “tirare in ballo un morto, che non può minimamente contraddire o puntualizzare la versione dei fatti attribuitagli, è sin troppo facile e da furbi”. Poi l’attacco a Di Bernardo, che “avrebbe avuto tutti gli strumenti massonici a sua disposizione e sarebbe dovuto prontamente intervenire per sciogliere le Logge in presunto odore d’illegalità di cui ha parlato nel 2014, o denunciarne i fatti alle autorità competenti. Il non averlo fatto allora sarebbe ancora oggi un atto estremamente grave e incomprensibile”.

“Reggio Calabria centro propulsore dei movimenti separatisti”
Dal racconto di Di Bernardo emerge come massoneria, ‘ndrangheta, Cosa Nostra e destra eversiva erano impegnate a sostenere i movimenti separatisti siciliani e meridionali. In sostanza l’oggetto dell’inchiesta “Sistemi criminali” che l’ex procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato non riuscì a portare avanti. Un’indagine in cui era stato coinvolto Paolo Romeo, uno dei presunti componenti della cupola degli “invisibili” assieme al senatore di Gal Antonio Caridi e all’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra. “Seppi dai miei referenti calabresi e non solo – mette a verbale il Gran maestro Di Bernardo – che all’interno del Goi all’inizio degli anni 90, vi erano soggetti che sostenevano i movimenti separatisti siciliani e meridionali in generale. Reggio Calabria era il centro propulsore, l’origine di tali movimenti autonomisti che trovavano sostegno in numerosi esponenti della massoneria e più esattamente del Goi. Ero molto preoccupato da questa situazione. Nel nord vi era la Lega Nord, a sud si stavano creando questi movimenti separatisti. Vedevo il nostro paese a rischio. In tutto questo, avevo accertato che assai probabilmente la precedente gestione del Gran Maestro del Goi era al centro di un traffico di armi con paesi extra-europei”.

Perquisizione alla Regione
Intanto oggi a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria, c’è stata una nuova perquisizione dei carabinieri del Ros e del Reparto Operativo. L’obiettivo degli investigatori è trovare altri riscontri sulla posizione dell’ex sottosegretario della Regione Alberto Sarra, fino al 2005 assessore al Personale e nei cinque anni successivi consigliere di minoranza. Uomo di Paolo Romeo (considerato la mente della ‘ndrangheta reggina), Alberto Sarra è uno dei due politici regionali coinvolti nell’inchiesta “Mamma Santissima”. L’altro è il senatore Caridi che, prima di essere eletto al Parlamento, è stato assessore regionale alle Attività produttive. Entrambi, così come Paolo Romeo, erano di casa a Palazzo Campanella dove, anche adesso, hanno i loro referenti. Non è escluso che la Dda stia cercando di ricostruire come i due politici, che gestivano importanti budget, possano aver contribuito con emendamenti e proposte di legge a rafforzare gli amici dei clan.

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