I manifesti elettorali sono sempre gli stessi. Come in un grande déjà vu la Spagna entra per la seconda volta nel vivo della campagna elettorale. Un dibattito tv, l’unico tra i quattro candidati, fallito e che ha quasi fatto addormentare tutti con una certezza: questa volta tocca mettersi attorno ad un tavolo e collaborare. Nessuno, infatti, anche stavolta otterrà la maggioranza. “Il Psoe vive una situazione drammatica”, spiega a ilfattoquotidiano.it Pablo Simón, politologo e fondatore del think tank Politikon. “Pedro Sánchez potrebbe dimettersi la stessa notte elettorale del 26 giugno”, conferma. Secondo gli ultimi sondaggi del CIS, infatti, la nuova coalizione di Unidos Podemos supererebbe in voti, e probabilmente perfino i seggi, lo storico partito socialista: un 25,6% contro un 21,2%, per la precisione. I Popolari invece rimarrebbero il primo partito, con un 29,2%, ma con qualche seggio in meno.

“Ci troviamo di fronte ad un singolare paradosso: per la prima volta la situazione tra gli storici blocchi si rompe. Questa è una campagna in cui l’ordine dei fattori altera il prodotto: Unidos Podemos supera il Psoe e si pone come primo partito d’opposizione al Pp, nonché come leader di sinistra. Se la prima campagna elettorale è stata molto importante, per capire quanto forti fossero le nuove forze emergenti, questa è una campagna chiave perché ci sono vari equilibri possibili”, afferma Simón.

Mariano Rajoy ha trovato in Pablo Iglesias un alleato perfetto per i suoi scopi politici: mettere fuori gioco il Psoe e presentarsi agli spagnoli come l’unico leader capace di frenare l’assalto dei “populisti viola” alla Moncloa. La strategia è insomma polarizzare al massimo la campagna. Tuttavia fare questo gioco potrebbe provocare l’effetto contrario: che Pablo Iglesias, e non Mariano Rajoy, acquisti ancora più forza, come ha avvertito l’ex presidente popolare José María Aznar. Alla direzione nazionale del Pp fanno orecchi da mercante, ma se si guardano i sondaggi in fin dei conti a dividere i due schieramenti ci sono solo 3,5 punti percentuali. E circa un 30% di elettorali indecisi. Senza considerare che, sempre secondo i sondaggi, lo scenario che si profila è che alla fine della fiera i partiti di centrosinistra potrebbero raccogliere più seggi di quelli del centrodestra. Mariano Rajoy continuerà a capeggiare la lista più votata, ma sembra poco probabile che il Psoe possa firmare un accordo di grande coalizione, che il leader del Pp potrebbe proporgli nella stessa nottata elettorale, con o senza Pedro Sánchez in prima linea. “È anche molto improbabile che il Psoe favorisca come presidente Pablo Iglesias” spiega Simón, “perché questo produrrebbe ancora maggiori tensioni interne e attacchi immediati”.

E dunque? Secondo il politologo i socialisti potrebbero astenersi per un governo di minoranza del centrodestra. “Non resta loro altra soluzione. Tra i due mali – Pablo Iglesias da una parte, Mariano Rajoy dall’altra – favoriranno un governo Pp di minoranza. Ma escludo che in Spagna possa nascere una grande coalizione”, aggiunge. Un altro ipotetico risultato potrebbe chiamare in gioco nuovamente gli arancioni di Albert Rivera. Ciudadanos, che al momento tende a mantenere posizione e consolidarsi con circa 40 seggi, potrebbe tendere la mano a Rajoy. “Bisogna vedere se insieme riusciranno ad ottenere la maggioranza assoluta (176 seggi su 350 ndr), cosa di cui dubito fortemente”, afferma il politologo.

I fedelissimi del Pp, che voteranno Mariano Rajoy tappandosi il naso per “il bene della Spagna”, dicono che con un altro candidato tutto sarebbe più semplice. C’è chi, nel partito, ha paura di un governo di populisti, con un Psoe in ginocchio. E c’è chi fuori dal partito pensa addirittura a terze elezioni. “Un’altra tornata? Lo escludo”, taglia corto Pablo Simón.

@si_ragu

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