La montagna ha partorito un topolino. Il negoziato Unione europea-Turchia, perno attorno a cui ruota la nuova Agenda dell’immigrazione europea, dalla sua entrata in vigore il 20 marzo ha prodotto 103 ricollocamenti (resettlement) di siriani richiedenti asilo dalla Turchia al Nord Europa (Finlandia, Svezia, Olanda e Germania). Nello stesso periodo, però, in Grecia sono arrivati 7.803 migranti. Trecentoventicinque irregolari sono stati rispediti in Turchia, in base all’accordo bilaterale di riammissione stipulato tra i due Paesi. Sono i numeri del Primo rapporto sui progressi compiti nell’implementazione dell’accordo UE-Turchia, firmato dalla Commissione Europea. Nel rapporto si sottolinea il dato come un successo: nelle tre settimane precedenti all’entrata in vigore del negoziato gli arrivi sono stati 26.878. “I trafficanti stanno trovando sempre maggiori difficoltà per indurre i migranti ad attraversare la Turchia per andare in Grecia”, commenta il rapporto.

Se l’obiettivo del negoziato era alleviare la pressione sulle frontiere della Fortezza Europa, è però evidente che la missione è ancora lontanissima dall’essere compiuta. I tempi per il ricollocamento in Europa sono troppi lunghi. Il meccanismo prevede che per ogni profugo preso in carico dalla Turchia un profugo (siriano) dovrebbe essere ricollocato in campi europei. Ancora non ci siamo, però. Secondo la stessa Commissione europea, ci sono ancora tra 50 e le 56 mila migranti bloccati in Grecia. E ancora il Parlamento europeo non ha dato il via libera per il ricollocamento di 54 mila profughi nei Paesi europei, anche per l’opposizione di alcuni Stati membri.

Quanto l’Europa darà alla Turchia – C’è poi un secondo problema, irrisolto, che riguarda il costo di questa operazione. In tutto, 6 miliardi di euro, suddivisi in due tranche, con le quali l’Europa, in sostanza, pagherà la Turchia per fare da setaccio dei migranti. Per il biennio 2016-2017 mancano all’appello 400 milioni di euro. Dovrebbero metterli 12 Paesi (Spagna, Grecia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Romania, Slovenia, Malta, Polonia e Lituania) che finora non hanno pagato pegno. “Devono farlo immediatamente”, si legge nel rapporto. Altrimenti mancherà la copertura finanziaria.

I capitoli di spesa annessi all’accordo e pagati con i soldi europei, infatti, sono tanti. Ad esempio il rafforzamento della Guardia costiera turca: 14 milioni di euro per imbarcazioni veloci e nuovi radar. Altri 250 milioni serviranno per la realizzazione di strutture (Facility) in Turchia. Accanto a questo, ci sono le spese per l’assistenza umanitaria. Anche questi fondi che andrebbero stornati dal budget della Commissione, in tutto 165 milioni di euro.

European Policy Center: “L’accordo non è legale” – Sul piano legale, restano in piedi i dubbi sulla legittimità dell’accordo, in particolare per chi chiede asilo in Grecia. La Commissione europea permette l’allontanamento di richiedenti asilo solo in “Paesi terzi sicuri”, luoghi di provenienza che rispettano una serie di criteri stabiliti dalla Commissione. “Niente in questo momento mi fa dire che la Turchia abbia diritto di essere in quell’elenco”, dice a IlFattoQuotidiano.it Yves Pascouau, responsabile immigrazione per lo European Policy Center, uno dei più influenti pensatoi di Bruxelles. “Solo un giudice potrà stabilirlo – prosegue – e mi auguro che le ong siano in grado di fare un ricorso ai giudici greci ed europei per fare in modo che si arrivi ad una sentenza. Sarà molto importante”.

Nel caso in cui il giudice dichiari illegittimo l’allontanamento in Turchia di chi chiede asilo in Grecia, la tenuta del negoziato potrebbe essere messa in pericolo. E se questo è il modello anche della proposta di Matteo Renzi a Bruxelles, il cosiddetto Migration Compact, il rischio è che l’Europa abbia imboccato l’ennesimo vicolo cieco per uscire dall’emergenza immigrazione. “La priorità politica che oggi ha scelto la Commissione europea e certi Paesi dell’Unione è di ridurre il numero di persone che arriva in Europa”. E come si fa? “Si offre un supporto finanziario ai partner che possono garantire protezione, oppure si cercano strumenti giuridici per respingere dove i sistemi di protezioni sono meno certi dei nostri. E questo è un problema: la Commissione è la prima a violare le normative che abbiamo stabilito tutti insieme”, ragiona Pascouau.

Le richieste della Turchia – Intanto continua il braccio di ferro Bruxelles-Ankara sulla liberalizzazione dei visti per l’Europa, vera contropartita dell’accordo con l’Europa per la Turchia. “Continuo a credere che avremo la liberalizzazione a giugno. Se non sarà così, allora di certo nessuno potrà aspettarsi che la Turchia mantenga i suoi impegni“, ha avvertito il premier Mehmet Davutoglu prima di partire per Strasburgo, dove ha incontrato il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Martedì Mehmet Kasim Gulpinar, presidente della commissione parlamentare turca per l’armonizzazione con le norme Ue, ha detto ad una delegazione della Bundestag tedesca che Ankara ha soddisfatto 55 dei 72 criteri chiesti dall’Ue. Ed entro maggio prevede la conclusione del percorso. Il presidente della Commissione europea Junker replica: “La Turchia deve soddisfare tutti i criteri mancanti nei prossimi mesi. Le richieste non verranno diluite”. Il 4 maggio la Commissione presenterà un nuovo rapporto che analizzerà l’avanzamento della Turchia per la conquista del visto libero per l’Europa.

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