di Luca Boneschi * 

Ogni tanto una buona notizia. E’ del 16 dicembre 2015 una sentenza del Tribunale di Milano (n. 3460/2015, giudice il dr. Nicola Di Leo) fin qui passata sotto silenzio eppure senza dubbio innovativa, contiene infatti l’affermazione di un principio sacrosanto, che interessa tutti i lavoratori subordinati: le azioni in tribunale possono esercitarsi anche dopo che il rapporto di lavoro si è concluso.

Lavoro sbarrato

Riassumiamo il problema. Il signor Edoardo Tentenna (nome di fantasia) è impiegato nel supermercato Comprabene (altro nome di fantasia) che ha circa 30 dipendenti, e si accorge che nella busta paga, a partire dal luglio 2007, non compare più la voce “lavoro straordinario” nonostante lui continui a svolgerlo come prima. Potrebbe anche essere una voce diversa: ad esempio, il superminimo continua a comparire ma è stato dimezzato; in sostanza, la busta paga non è regolare perché manca qualcosa, in danno del dipendente.

Il nostro signor Tentenna va dal suo sindacato, che gli dice: sì, hai diritto a chiedere il pagamento del lavoro straordinario fatto e non pagato, però attenzione, sei tu che devi dare la prova delle ore di lavoro fatte in più rispetto all’orario contrattuale. Tentenna è incerto, e discute i pro e i contro, tenendo anche presente che, dopo la riforma Fornero dell’art. 18 (e a maggior ragione oggi, con i contratti a tutele crescenti) anche se il supermercato ha 30 dipendenti, il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo non è più una certezza, anzi può essere un’eventualità solo residuale: bisogna dimostrare che il licenziamento è ritorsivo (cioè interviene perché tu hai chiesto il pagamento degli straordinari non pagati) oppure discriminatorio, e l’onere della prova è sempre a carico tuo, caro Edoardo Tentenna.

Il quale Tentenna continua, a maggior ragione, a tentennare anche perché il sindacalista gli dice che, avendo l’azienda più di 15 dipendenti, decorre la prescrizione quinquennale: e già ha perduto gli arretrati dal 2007 al 2011 (perché siamo nel 2016). Il dilemma è dunque questo: rinunciare al pagamento degli straordinari e continuare a lavorare tranquillamente, oppure interrompere la prescrizione del credito e iniziare la causa davanti al giudice del lavoro?

Il paradosso, ha spiegato a Tentenna il sindacalista, è che se il supermercato avesse meno di 15 dipendenti, il tuo credito – se provato – non si prescriverebbe perché non avresti la tutela dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e la prescrizione comincerebbe a decorrere soltanto quando il rapporto di lavoro si esaurisce, e quindi non ci sarebbe il pericolo di perdere un posto che non c’è più.

Per chi lavora in un’azienda non è semplice capire in pieno questi meccanismi, e quindi l’incertezza è giustificata, così come la scelta che il nostro amico farà: lasciamo perdere gli straordinari e continuiamo a lavorare senza sollevare questioni.

E invece no: anche in questo deserto dei diritti dei lavoratori che è stato fatto dalle ultime riforme, dalla Fornero al Jobs Act, qualche fiorellino comincia a crescere.

Fuor di metafora, il Tribunale di Milano ha affermato il principio che dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 (Fornero) la quale ha modificato la tutela reale di cui all’art. 18 Statuto dei lavoratori prevedendo, anche a fronte di un licenziamento illegittimo, una tutela solo indennitaria e non la reintegrazione nel posto di lavoro, anche per le aziende con più di 15 dipendenti la prescrizione non decorre in costanza di rapporto perché il dipendente può incorrere nel timore di essere licenziato nel momento in cui fa valere le proprie ragioni “a fronte della diminuita resistenza della propria stabilità”, cioè a fronte della non certezza del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, diritto che l’attuale art. 18 non garantisce più.

A questo punto, è meglio lasciar parlare il giudice: “la decorrenza o meno della prescrizione va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica di ‘metus’ del lavoratore e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto (…). Così, avendo le parti formulato i conteggi condivisi dal luglio 2007, ossia nel termine di cinque anni dall’entrata in vigore della menzionata legge n. 92 del 2012, si può ritenere che con riferimento a nessuna delle somme richieste da parte attorea sia maturata la prescrizione, da calcolarsi a ritroso in cinque anni dal 18/7/12 (…)”.

Il discorso è molto chiaro, oltre che pienamente condivisibile e in linea con le pronunce della Corte Costituzionale (n. 63/1966 e n. 174/1972) e della Corte di Cassazione (Sezioni Unite, n. 1268/1976) che hanno indirizzato le interpretazioni giurisprudenziali prevalenti. La dottrina più attenta alla tutela dei diritti dei lavoratori aveva già sollevato il problema della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi dopo le recenti riforme ma, a quanto risulta, ancora la recente giurisprudenza non si era pronunciata in relazione al nuovo quadro normativo. “Se son rose fioriranno”, verrebbe da dire: vedremo se il nostro fiorellino cresciuto nel deserto resisterà ai molti venti contrari che soffiano da più parti e riuscirà a riprodursi. Noi, intanto, proteggiamolo con cura perché è prezioso.

* Mi sono sempre occupato di diritto del lavoro, specialmente per i giornalisti e il loro sindacato. Ho fatto anche molto diritto penale, campo che però ho da tempo abbandonato. Ho diretto per 10 anni la Scuola di alta formazione in diritto del lavoro dell’AGI Avvocati Giuslavoristi Italiani perché mi piace insegnare ai giovani e provare a trasmettere esperienza, veder crescere generazioni preparate e agguerrite, magari appassionate, con buona preparazione teorica e non solo fatta sul campo. Sono sposato e ho una figlia, vivo e lavoro a Milano.

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