Giorgio Parisi, uno dei più noti fisici italiani, insieme ad altri colleghi, ha scritto una lettera alla rivista Nature (ripresa anche in un’intervista al Fatto Quotidiano) in cui denuncia il grave stato di abbandono della ricerca scientifica nazionale. Da questa lettera è stato poi promosso l’appello (che ho sottoscritto) “Salviamo la ricerca italiana” in cui si invita l’Unione Europea a fare pressione sul governo italiano perché finanzi adeguatamente la ricerca in Italia e porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza: qualche tempo fa avevo scritto, insieme ad altri colleghi di diversi paesi europei, una lettera aperta a tutti gli scienziati e cittadini d’Europa sul problema della ricerca e dunque il tema mi trova piuttosto sensibile. Oltre la questione, primaria, della quantità di finanziamento, a mio parere c’è anche il problema di come il finanziamento viene suddiviso tra le diverse linee di ricerca: vediamo di cosa si tratta e perché è anche un problema importante.

Nella figura è mostrato l’andamento annuo del finanziamento dei progetti d’interesse nazionale (Prin) nell’ultimo decennio. Poiché in alcuni anni i bandi Prin non sono stati emanati e poiché la loro copertura temporale è variata da due a tre anni, abbiamo calcolato per ogni anno il finanziamento effettivo facendo la somma dei contributi dei vari bandi (chiaramente per il 2017 e 2018 si tratta di dati provvisori). Inoltre i valori del finanziamento sono stati anche adeguati all’inflazione (in blu mentre in rosso sono i valori originali). Si vede subito che ci sono due regimi: prima e dopo il Ministero Gelmini. Prima i finanziamenti erano biennali e consistevano mediamente in più di 100 milioni all’anno; dopo c’è stato un calo drastico di più della metà. I ministeri Profumo, Carrozza e Giannini non hanno eliminato il taglio effettuato dal ministro Gelmini ma anzi hanno ulteriormente diminuito il finanziamento. Come ha scritto lo stesso Parisi “Il governo è cambiato, ma il maltolto non è stato restituito”.

 prin

Oltre la quantità del finanziamento con il Ministero Gelmini c’è stato un rilevante cambio nella qualità della distribuzione del finanziamento. Come ha scritto la commissione di garanzia dei progetti Prin 2009:

La Commissione, nello svolgimento dei propri lavori, si è rigorosamente attenuta ai criteri che hanno ispirato il bando Prin 2009 ed alle norme nello stesso contenute, e che si possono ricondurre al seguente obiettivo: quello di concentrare le risorse disponibili sui progetti di ricerca «eccellenti», evitando il finanziamento cosiddetto «a pioggia».

In effetti, si osserva un cambiamento notevole: fino al 2008 il 25% dei progetti presentati è stato finanziato, dopo il 2008 il tasso di accettazione si è più che dimezzato. Considerando anche il calo dei finanziamenti il numero dei progetti finanziati è diminuito più di un quarto (da 800-1000 a 100-200). Nell’ultimo bando sono stati presentati 4400 progetti e il tasso più o di accettazione si può stimare essere minore del 10% (assumendo un finanziamento medio di 250,000 euro a progetto). Dunque, al contrario di quello che scrive la commissione di garanzia, non c’è mai stato un finanziamento a pioggia, quanto piuttosto c’è stato un fino al 2008 un finanziamento del tutto ragionevole con una soglia di successo del 25%. Quello che è irragionevole è quello che ha implementato la commissione di garanzia del 2009 e con essa quella dei pochi bandi successivi, seguendo il diktat ideologico del dogma dell’eccellenza, l’altra faccia della medaglia della riduzione dei fondi.

Sostiene il dogma: i ridotti (e dunque pochi) finanziamenti vanno accentrati sulle eccellenze. Come abbiamo discusso varie volte le eccellenze conclamate oggi sono le eccellenze che si sono sviluppate ieri. Una politica ragionevole dovrebbe essere interessata a finanziare oggi le eccellenze di domani e a creare le condizioni per permettere che queste emergano. Ma per far questo bisogna rispondere alla domanda: “Quali sono e dove sono oggi le eccellenze di domani?”. La risposta è semplice e qualsiasi ricercatore e scienziato conosce la risposta: “Le eccellenze di domani sono oggi nascoste in tanti potenziali ricercatori che stanno sviluppando idee innovative e magari controverse e che dunque nessun processo di selezione metterà nel top 5%”. Finanziare solo il top 5% dei progetti, oltretutto per un programma di finanziamento strutturale a livello nazionale come il Prin, è perciò del tutto controproducente perché soffoca proprio le idee, i progetti e i ricercatori più innovativi. Non è dunque solo una questione di quantità di finanziamenti, che certamente è primaria perché se non c’è la torta non c’è nulla da dividere, ma è necessario anche ri-considerare anche la politica basata sul dogma dell’eccellenza. Solo la diversificazione dei progetti e delle conoscenze, assicurata da una più equilibrata divisione dei fondi di ricerca, può creare le condizioni perché l’eccellenza possa svilupparsi.

Oltre a firmare la petizione promossa da Parisi che si può fare? Molti docenti e ricercatori stanno boicottando la valutazione ministeriale della ricerca, seguendo l’esempio di uno dei più noti e stimati matematici del paese, Giuseppe Mingione, che ha deciso di boicottare la “VQR”, una sorta di valutazione che assomiglia al controllo del “Comitato Centrale” sulla ricerca, finché il lavoro dello studioso sarà soggetto a questi livelli di “di mortificazione professionale”.

Ps: Il problema del finanziamento delle ricerca, della politica scientifica delle nazioni, insieme con una discussione delle diverse organizzazioni dei sistemi di ricerca dei paesi e delle istituzioni scientifiche sono trattati più diffusamente nel mio libro Previsioni e rischio: cosa ci dice la scienza sulla crisi edito da Laterza e in pubblicazione a marzo 2016.

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