Da Nord a Sud, la sanità è con l’acqua alla gola. La legge di Stabilità approdata in Parlamento conferma che il Fondo sanitario per il 2016 sarà aumentato solo di 1 miliardo di euro, portandolo così a 111 miliardi di euro, contro i 113,1 previsti nel Documento di economia e finanza a settembre e i 115 inseriti nel Patto per la salute un anno fa. Ma il miliardo in più è già vincolato per 800 milioni al finanziamento dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea). Ci sarà quindi da chiarire con quali risorse lo Stato si farà carico dei vaccini e dei farmaci per l’epatite C. A pagarne le conseguenze saranno soprattutto le regioni in piano di rientro, che dovranno valutare un incremento delle addizionali Irpef e Ires (già richiesto dalla normativa in caso di disavanzo sanitario) e un eventuale rincaro dei ticket per medicinali, visite ed esami specialistici. Intanto le regioni vanno avanti con i soldi contati. L’ultima indagine dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) rivela che nei primi sette mesi del 2015 la spesa farmaceutica negli ospedali ha sforato del 50 per cento il limite programmato (3,8 miliardi contro i 2,5 previsti). Come pure quella territoriale, superiore del 7% rispetto al tetto (da 7,4 a 7,9 miliardi). I risparmi si sono nel frattempo tradotti in un calo dei ricoveri (315mila in meno nel 2014 rispetto al 2013) e del numero di ricette, che tra gennaio e luglio sono scese dell’1,7% a quota 358 milioni. Due indicatori di performance tutto sommato positivi.

“Rispetto a quanto previsto dal Patto per la Salute”, calcolano gli esperti della Fondazione Gimbe, che si occupa di ricerca e formazione in campo sanitario, “il Ssn nel 2015-2016 ha lasciato per strada 6,8 miliardi che si aggiungono agli oltre 25 già sottratti da varie manovre finanziarie nel 2012-2015. Il definanziamento della sanità pubblica si sta pericolosamente avvicinando a limiti che non solo minano la qualità dell’assistenza, ma compromettono anche la salute delle persone”.

Per ora, le regioni sottoposte al programma di riduzione del debito sono otto: Lazio, Campania, Piemonte, Abruzzo, Molise, Sicilia, Calabria e Puglia. Che la situazione a livello economico non sia più sostenibile, lo dimostrano anche i bilanci delle aziende sanitarie del Paese, raccolti nell’ultimo rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas): su 108 strutture, 31 hanno chiuso in rosso e 24 sono a rischio piano di rientro in base ai parametri fissati nella legge di Stabilità. Quelle messe peggio sono quelle laziali, con un deficit di oltre dieci milioni e un disavanzo record di oltre 158 milioni del San Camillo Forlanini.

La manovra potrebbe costringere le otto giunte ad alzare il prezzo dei ticket sanitari. “Dal 2008 al 2014 sono già cresciuti del 26 per cento – evidenzia Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato -. Si rischia di annullare il valore aggiunto che potrebbe venire dall’aggiornamento dei Lea. A questo punto crediamo che la mobilitazione generale di chi ha a cuore la sanità pubblica sia l’unica strada percorribile, per sperare in una inversione di rotta”. Poi un appello ai politici: “Chiediamo che il testo sia profondamente rivisto nel dibattito parlamentare sia sul livello di finanziamento sanitario che sulle misure dei ticket”.

Quanto al finanziamento dei contratti, il presidente della Confederazione sindacale dei medici e dirigenti (Cosmed), Giorgio Cavallero grida al bluff: “Dopo 6 anni di blocco contrattuale il governo finanzia il prossimo contratto con un aumento di 300 milioni di euro per il 2016, essendo i dipendenti pubblici 2 milioni si tratta di un aumento medio pro capite di 150 euro lordi annui ovvero meno di 13 euro mensili lordi. Contemporaneamente però il trattamento accessorio, che serve per pagare guardie, reperibilità e straordinari, sarà congelato ai valori del 2015. A nulla – conclude il presidente – sono valsi i richiami della Corte Costituzionale: il governo risponde con un’elemosina provocatoria”.

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