Sarà senz’altro vero, come ha scritto Matteo Renzi in un tweet, che il prossimo 16 dicembre potremo celebrare il funerale di Imu e Tasi. Ma prima di organizzare lanci di petali di rose, facendo alzare in volo un elicottero, è forse il caso di ragionare a mente fredda sulle imposte. Abbassare le tasse è sempre buona cosa. Ma quelle sulla casa sono diverse dalle altre. Con la loro abolizione, ci ricorda la Cgia di Mestre, 19 milioni di famiglie risparmieranno in media 204 euro all’anno. Chi però possiede ville, o immobili signorili, di euro se ne ritroverà in tasca ben 1.830. Chi invece è il fortunato proprietario di un castello farà a meno di versarne 2.280: cifra pari a due mesi di stipendio netto di un operaio.

Non bisogna essere di sinistra o aver letto il Vangelo per capire che, messa così, l’idea del governo finisce per premiare i ricchi e per punire i poveri. Anche perché il risparmio di chi vive in abitazioni modeste, quelle classificate A3, sarà di soli 120 euro.

Renzi e i suoi dovrebbero riflettere su questi dati. Presentarsi alle elezioni amministrative della prossima primavera rivendicando, come fece Silvio Berlusconi, l’eliminazione delle tasse sulla casa è di certo un bel vantaggio. Farlo, essendo poi costretti ad ammettere di aver favorito soprattutto i ricchi, è qualcosa che assomiglia a un boomerang.

Ma non basta. Pure se è evidente che, arrivati a questo punto, anzi a questo annuncio, niente spingerà il premier alla marcia indietro, conviene a tutti non trascurare altri numeri. In totale la cancellazione di Imu e Tasi costerà quasi 5 miliardi di euro. Anche se è scontato che gli introiti garantiti dalla Tasi – 3,4 miliardi – verranno ricavati da una nuova imposta locale (quei soldi servono ai Comuni per servizi essenziali come l’illuminazione o la manutenzione) è giusto chiedersi se, potendolo davvero fare come sostiene il premier, non sia più utile tagliare delle tasse diverse.

Chi scrive ritiene di sì. Anche perché la diminuzione delle imposte è un’occasione straordinaria per rinnovare e ripensare il sistema economico e industriale italiano. In un interessante studio della ricercatrice Istat, Monica Montella, pubblicato ieri da ilfattoquotidiano.it, si sottolineano per esempio gli effetti potenziali di una riduzione significativa dell’Irap (balzello calcolato non in proporzione agli utili, ma ai fatturati) riservata a quelle imprese che investono in innovazione tecnologica. Tagliando questa tassa si può spingere le aziende a consumare solo energia rinnovabile, si può indurle a esplorare mercati legati alla domotica, alla telemedicina, alla teleassistenza o alla sanità digitale. Si può insomma cambiare il volto della società italiana. Se invece si hanno obiettivi meno ambiziosi, al posto dell’eliminazione delle tasse sulla casa (il cui effetto sul calo delle compravendite di immobili è tutt’altro che certo) si può da subito ridurre la tassazione sul reddito da lavoro. Rimandarla al 2018, come previsto dal governo, serve per giocarsi un altro bonus alla vigilia delle elezioni politiche. Ma vuol dire anche attendere altri due anni prima di dare nuovo denaro da spendere a chi produce. Ovvio, 5 miliardi sono pochi. Ma possono essere l’inizio di una scelta: spostare l’imposizione fiscale dai redditi ai patrimoni. Il che, in un Paese dall’imponente evasione, rappresenta quasi una rivoluzione.

C’e da augurarsi che, in fatto di tasse, Renzi dia libero sfogo non al berlusconiano, ma al democristiano che è in lui. Perché era Alcide De Gasperi a dire: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista alla prossima generazione”.

Da Fatti Chiari, Il Fatto quotidiano 5 settembre 2015

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