Meritocrazia” è, oggettivamente, una bella parola. Secondo la definizione sul vocabolario on line Treccani, si tratta di una “concezione della società in base alla quale le responsabilità direttive, e spec. le cariche pubbliche, dovrebbero essere affidate ai più meritevoli”. Una sorta di società ideale, un platonico (sia in riferimento alla sua matrice filosofica, che alla sua irraggiungibilità) governo dei migliori dotati di saggezza e razionalità come ne La Repubblica; oppure, più modestamente e realisticamente, una società in cui chi è veramente meritevole abbia la possibilità di accedere ai gradi più alti della scala gerarchica dei vari attori che compongono questa cosa pubblica immaginaria.

L’associazione no-profit Forum della Meritocrazia, con la collaborazione di un pool di ricercatori ed esperti dell’Università Cattolica di Milano, ha provato a misurare lo “stato del merito – come si legge nel rapporto finale dell’indagine – in un Paese”, utilizzando dati forniti da Commissione Europea, Ocse, The Economist, World Justice Project e altri enti, rapportando il tutto a livello europeo e cercando di capire come siamo messi in Italia. E tutte le impressioni sembrano essere confermate: siamo messi male.

meritrocrazia europa

L’Italia si colloca al non-sorprendente ultimo posto della classifica sui dodici Paesi europei presi in esame; in cima, le prime quattro posizioni sono occupate da Finlandia, Danimarca, Norvegia e Svezia. E fin qui, nulla di strano (ma solo di sconcertante). Il dato più interessante, però, riguarda i risultati rilevati nei singoli indicatori: nonostante nessuno riesca a fare peggio di noi, dati particolarmente negativi sono stati riscontrati alle voci trasparenza, libertà e regoleper la cui spiegazione si rinvia al rapporto originale disponibile on linemeritocrazia media europea

La domanda sorge quasi spontanea: come può vincere il merito in un Paese, che si parli dell’Italia o no, in cui mancano le condizioni basilari che possano permettere a tutti di accedere a posizioni di leadership in ogni campo della società e regole chiare ed efficaci che garantiscano ai cittadini di far parte di un sistema i cui meccanismi premino effettivamente il merito, senza dover necessariamente pensare o far riferimento a scorciatoie di sorta? Che vogliate essere esterofili o no, i dati parlano chiaro: in Europa siamo indietro, anni luce alle spalle di realtà – con le quali coesistiamo nella stessa Unione – che avranno sì i loro problemi, di ordine diverso rispetto ai nostri, ma rappresentano baluardi di civiltà su punti che dovrebbero costituire le fondamenta di una società contemporanea giusta e, appunto, meritocratica.

Il problema è che parlare di meritocrazia è sempre bello, ma l’80% delle volte viene fatto a sproposito e dalle persone sbagliate. Ogni ministro dell’Istruzione italiano, ad esempio, dalla Gelmini in poi, adora parlare di questo argomento, salvo poi mettere a punto riforme che non fanno che azzoppare il sistema d’istruzione medio e superiore nazionale, lasciando fondamentalmente tutto immutato.

A partire dalla scuola, dall’università, dall’accesso al mondo del lavoro: cominciamo a parlare di meritocrazia come si deve, in modo europeo, ispirandoci a chi ci è davanti senza restare rinchiusi in un orgoglio testardo e infruttuoso. Mettiamo in discussione, abbandoniamo il pressappochismo e l’opacità dei regolamenti, rigettiamo i sistemi clientelari che rendono l’accesso a molte posizioni lavorative un’infinita coda alle Poste (quando a passare davanti a tutti non è il cugino del tizio allo sportello). Gli italiani sono ancora un popolo di emigranti: invece dei soliti tappabuchi – “all’italiana” – per contrastare l’esodo, forse sarebbe il caso, e il momento, di intervenire sullo strutturale.

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