Nonostante sia in atto una crisi irreversibile della forma-Stato, gli Stati nazionali stanno dimostrando una sorprendente e forse inattesa capacità di resistenza. Il tentativo posto in atto a livello europeo a partire dal Trattato di Maastricht e soprattutto dai regolamenti  successivi di omogeneizzare  anche (ma non solo) con l’euro la vita dei popoli, colonizzando gli Stati nazionali e privandoli  della loro sovranità non sembra ancora completamente riuscita.

Alcuni popoli cominciano ad essere sempre più insofferenti nei confronti di quella “servitù volontaria” verso i cosiddetti vincoli europei, frutti avvelenati di poteri tanto invisibili quanto impalpabili, e stanno cominciando a percepire che non c’è nessun potere che li possa costringere a restare  con la forza in questa Europa e soprattutto all’interno della zona euro. Vedremo ora se Tsipras, risultato vincitore nelle ultime elezioni riuscirà a cambiare qualcosa in Grecia, difficile però che possa realizzare quanto ha promesso se non intende prendere in considerazione l’uscita dalla gabbia dell’euro. E lo stesso può dirsi per Podemos in Spagna. Dunque non ci  resta che tornare comunque alle grandi narrazioni degli Stati nazionali? Insomma, lo Stato nazionale come male minore rispetto a quel potere invisibile transnazionale che ci opprime?

Questo presupporrebbe che lo Stato nazionale abbia la capacità di rinnovarsi aprendosi alle nuove realtà sociali. Ma quello che dobbiamo constatare, è esattamente l’opposto. Ciò che è accaduto nel nostro Paese è esemplare. Negli anni Settanta per bloccare le lotte operaie si è ricorso apertamente alla violenza. Si pensi a tutte le stragi rimaste impunite, a partire da Piazza Fontana: una lunga scia di sangue. Più recentemente la tecnica è mutata: alla strategia della tensione si è sostituito il “Colpo di Stato permanente“, che in modo indolore ha mutato temporaneamente  la nostra forma di governo, conferendo al capo dello Stato poteri di indirizzo politici che il nostro ordinamento non gli attribuisce. Nell’inerzia degli altri organi dello Stato il Presidente della Repubblica ha varcato il confine del suo ruolo trascinando il sistema verso una forma di governo presidenziale e cosi abbiamo avuto i tre governi del Presidente: Monti, Letta e Renzi. In tutti e tre i casi il voto di fiducia, senza che via sia stato voto di sfiducia nei confronti dei governi precedenti, ha funzionato soltanto come ratifica a posteriori di una decisione politica presa dal Presidente della Repubblica.

Ora che il pericolo del cambiamento radicale è scongiurato si può ritornare alla normalità. Il nemico, il M5S è stato sconfitto, o meglio inglobato  nel sistema. Lo stato d’eccezione può  terminare e l’arbitro può tornare, come lui stesso ha oggi dichiarato, ad essere “imparziale”. Resta una questione generale da porsi: forse non abbiamo bisogno di uno Stato migliore ma di qualcosa di meglio dello Stato.

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