“Non puoi continuare a spremere Paesi che sono nel mezzo della depressione economica”. E’ categorico, Barack Obama, di fronte a Fareed Zakaria di CNN. La Grecia non può essere costretta a rispettare impegni troppo stringenti, che finirebbero per metterla definitivamente in ginocchio. “Non c’è dubbio che l’economia greca aveva bisogno di riforme profonde – ha spiegato Obama – il sistema di raccolta delle tasse era terribile. I cambiamenti dovevano essere realizzati”. Ma, ha aggiunto il presidente Usa, “è molto difficile dare inizio alle riforme quando gli standard di vita della popolazione crollano del 25%. Nel lungo periodo, il sistema politico e la società non possono sopportare le riforme”.

L’intervento di Obama rappresenta una presa di posizione importante e dà forza al governo greco nel momento in cui Alexis Tsipras, e il suo ministro delle finanze Yanis Varoufakis, sono impegnati nello sforzo di rinegoziazione del debito. Obama,tra l’altro, non si è limitato a parlare di Grecia, ma ha allargato il discorso a tutta l’Europa. “Sono preoccupato per la crescita in Europa. Certo, l’equilibrio di bilancio e le riforma strutturali sono importanti, ma quello che abbiamo imparato dall’esperienza degli Stati Uniti… è che il modo migliore di ridurre il deficit e rimettere a posto i conti dello Stato è la crescita economica“.

Dal presidente americano arriva dunque un forte appoggio a chi in Europa ritiene che dalla crisi si esca con un piano di investimenti e di intervento dello Stato, e non con l’ossessione per il pareggio di bilancio. A gran parte degli osservatori americani, non è però sfuggito che le parole di Obama su Grecia ed Europa sono arrivate nel momento in cui la Casa Bianca si appresta a presentare al Congresso il budget 2016: una proposta che non si limita ad alzare le tasse alle aziende – il 14% una tantum su quelle che hanno realizzato profitti all’estero e il 19% sui futuri profitti – ma prevede un massiccio intervento del governo federale a vantaggio della classe media.

238 miliardi di dollari – realizzati con l’aumento della tassazione alle grande imprese – dovrebbero andare a finanziare la costruzione di strade, ponti e infrastrutture. 105 miliardi saranno invece utilizzati per la cosiddetta “trade adjustment assistance“, l’assistenza a quei lavoratori penalizzati dagli accordi sul libero scambio. Si precisa anche il costo dei due anni di community college gratuito. Il piano costerà 41 milioni per il primo anno, schizzando però a 951 milioni entro il 2017 e a 2,4 miliardi entro il 2019. Previsto anche un aumento del 6% negli investimenti per ricerca e sviluppo e facilitazioni fiscali per le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Parallelamente, crescerà il deficit Usa. Sarà 474 miliardi di dollari nel 2016, il 2,5% del Pil, per salire a 687 miliardi entro il 2025 – una crescita riassorbita dalla contemporanea crescita dell’economia e delle entrate.

“E’ sempre la stessa storia, aumentare le tasse in modo da uccidere investimenti e creazione di posti di lavoro”, ha reagito il repubblicano Paul Ryan, chairman dell’House Ways and Means Committee. I repubblicani, in maggioranza al Congresso, annunciano battaglia nei confronti delle proposte di Obama; spiegano che soltanto una parte limitata di queste potrà passare e che comunque si dovrà trovare un compromesso con quello che loro ritengono un principio irrinunciabile: lo sviluppo non si ottiene alzando le tasse sui settori più produttivi della società; la ripresa non si realizza attraverso un programma di sostanziale assistenzialismo nei confronti dei più deboli.

A questo punto, comunque, le obiezioni dei repubblicani non sembrano toccare più di tanto Obama. Il presidente appare rivolto non tanto a realizzare punto per punto le sue proposte, quanto a delineare la piattaforma che lui ritiene irrinunciabile per le presidenziali 2016. Obama pensa, infatti, che il tema qualificante della nostra epoca sia ormai quello della diseguaglianza – diseguaglianza tra chi è diventato, anche durante questi anni di crisi, sempre più ricco, e chi è diventato sempre più povero. Il suo obiettivo, allora, non è tanto quello di proporre politiche volte a controllare la montagna crescente del debito, ma quello di evitare che la crisi sospinga ai margini settori sempre più larghi di popolazione; soprattutto la classe media stritolata dall’aumento dei costi per educazione e sanità e spesso incapace di tenere il passo dei cambiamenti tecnologici.

“Dobbiamo investire sull’economia del futuro e questo significa investire su educazione, scienza, ricerche, infrastrutture”, ha spiegato Chris Van Hollen, un democratico tra i più vicini a Obama e impegnato nella definizione delle politiche economiche Usa. Ecco dunque l’insistenza del presidente sullo sviluppo in Europa e le proposte di sapore apertamente keynesiano all’interno degli Stati Uniti: sostegno pubblico alla domanda globale, investimenti a favore di consumi e occupazione, senza farsi legare le mani dall’aumento del debito; che, va ricordato, sarà il 73,3% del Pil nel 2025, il livello più alto della storia americana con l’eccezione del periodo successivo alla seconda Guerra mondiale.

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