Calabresi, sardi e siciliani si ammalano più dei docenti piemontesi, marchigiani e veneti. A tracciare la mappa dell’assenteismo nelle scuole italiane è la rivista “Tuttoscuola” che ha raccolto gli ultimi dati disponibili per fare una fotografia delle assenze nelle aule italiane. Primo dato: a essere costretti a letto sono più i docenti della scuola dell’infanzia che i professori delle scuole superiori. E se gli insegnanti si assentano per malattia in media 11,33 giorni, il personale Ata (ausiliario tecnico, amministrativo, bidelli) e i tecnici di laboratorio, stanno a casa in media 16,93 giorni lavorativi con punte oltre i 19 giorni per il personale non docente ligure (19,77), emiliano-romagnolo (19,37) e laziale (21,3). Ma a fare da capofila dell’assenteismo è la capitale del lavoro, Milano dove i bidelli si ammalano 21,3 giorni medi.

La lente d’ingrandimento di “Tuttoscuola” è andata a vedere cosa succede nelle aule di Nord, Centro e Sud. Ad avere una salute di ferro sono coloro che hanno una cattedra in Piemonte: hanno accumulato nove giorni di assenza nell’anno. A seguire i marchigiani con 9,4 giorni e i veneti che arrivano a 9,6 giorni. 

In fondo alla classifica i docenti calabresi che si assentano quasi il doppio dei colleghi piemontesi ovvero 15,4 giorni: il loro primato riguarda tutti gli ordini di scuola con una punta a sfavore dei professori della scuola superiore di primo grado che arrivano a 17,7 giorni medi all’anno. Ciò significa che prof e maestri calabresi fanno in media tre settimane a letto l’anno. Ad avere la salute cagionevole sono anche i sardi con i loro 13,7 giorni di assenza e i siciliani che ne accumulano 13,6.

Il settore dove si sono registrati più problemi è la scuola dell’infanzia che ha registrato un 12,1 giorni pro capite di assenza con punte elevate in Calabria (15,26), Sicilia (14,48) e Lazio (14,34). Segue la scuola secondaria di primo grado dove i professori hanno dovuto fare ricorso al medico 11,9 giorni. Va meglio alle superiori dove ci si ferma a 10,7 giorni di assenza.

Numeri che Sergio Govi di “Tuttoscuola” conosce bene: “Purtroppo da due anni la Funzione Pubblica e il Miur che pur ricevono i dati non li hanno resi pubblici. Per aggiornare il quadro abbiamo dovuto far riferimento agli ultimi dati disponibili relativi all’anno scolastico 2011/12, confrontandoli con gli anni precedenti. Va detto, tuttavia, che l’Inps ha recentemente pubblicato una sintesi delle certificazioni di malattia dei lavoratori dipendenti privati e pubblici del 2013 dove emerge una netta tendenza all’incremento di assenze da parte dei dipendenti pubblici rispetto a quelli del settore privato. Rispetto al 2011 l’incremento dei certificati presentati nel 2013 dai lavoratori privati è stato del 1,1% mentre per i pubblici dipendenti del 27%. Questo aumento riguarda anche i lavoratori della scuola che si ammalano di più magari per brevi periodi. L’effetto Brunetta non ha avuto alcun effetto: si è passati dai 7,56 giorni del 2009/2010 agli 11,33 del 2011/2012 nella scuola”.

Gavi smentisce chi pensa di confermare i luoghi comuni leggendo questi dati: “Se si guarda il personale Ata, ci sono punte di assenze al Nord. Non si può dire che il Sud è più assenteista nonostante la cattiva eccellenza della Calabria”. Evidenti, invece, le conseguenze del giro di vite sugli organici: “La riduzione sul personale ha inciso sull’organizzazione del lavoro del personale Ata. Così come va precisato che la scuola dell’infanzia ha un orario di servizio di 25 ore settimanali con compresenze ridotte al minimo”.

A buttare acqua sul fuoco è il segretario della Flc Cgil, Mimmo Pantaleo che pur ammettendo che anche nella scuola esistono i furbetti, difende la categoria a spada tratta: “A differenza di altri settori del pubblico, nella scuola non abbiamo grandi problemi di assenteismo. E’ grave che non siano forniti i dati sulle malattie ma non c’è alcuna patologia. Sulle assenze agiscono vari fattori: nella scuola dell’infanzia c’è una maggiore usura del lavoro rispetto alla secondaria superiore dove si fanno 18 ore settimanali. I bidelli dopo i tagli fatti hanno carichi sempre maggiori. Si tratta di guardare anche ai diversi contesti. Forse è ora di parlare di lavoro usurante per alcuni settori: penso alla primaria e all’infanzia”.

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