Una sigla Upb, una sede in via del Seminario nel Palazzo di San Macuto. Un ufficio che costa 6 milioni di euro. Benvenuti nel mondo dell’Ufficio parlamentare del bilancio. La nuova authority sui conti pubblici è ferma al palo. Il primo compito si concretizzerà soltanto ad ottobre quando sul tavolo dell’ufficio arriverà la nota di aggiornamento del Def che conterrà le nuove stime sugli indicatori macroeconomici del Paese (Pil, debito, deficit). Prima di quel giorno, invece, l’ufficio di presidenza composto da tre membri affiancati già da uno staff resterà a braccia conserte. Del resto, ironizza un economista del giro renziano con ilfattoquotidiano.it, “se fosse già stata operativo ce ne saremmo accorti e sarebbe già intervenuto nel dibattito. Ad esempio, quando è stato promosso il decreto sugli 80 euro. Invece nessuno li ha mai menzionati”. 

La vicenda dell’organismo di controllo parte da lontano. Tutto inizia circa due anni fa, quando ai tempi del governo presieduto da Mario Monti fu approvata la legge di riforma costituzionale n.1 del 20 aprile del 2012 che recepiva la normativa europea in materia di finanza pubblica (cioè il fiscal compact), obbligando il Paese al pareggio strutturale di bilancio (che ora la sinistra del Pd vuole abolire). Quella legge, però, prevedeva anche di dotare Senato e Camera di un organismo snello e indipendente che fungesse da controllore dei conti pubblici e che valutasse l’impatto macroeconomico dei provvedimenti ed anche attivasse presso la commissione europea il meccanismo correttivo nel caso in cui ci siano scostamenti rispetto agli obiettivi. Il modello preso come riferimento è quello delle istituzioni già attive in numerosi altri Paesi occidentali. Ad esempio in Olanda c’è il Central Planning Bureau, in Belgio l’High Council of Finance e negli Stati Uniti il Congressional Budget Office. Con l’obiettivo anche qui è anche quello di promuovere una maggiore trasparenza del bilancio ai fini della sostenibilità della finanza pubblica. 

L’Italia arriva per ultima alla meta: sfora addirittura i tempi massimi. E ancora oggi l’operatività dell’authority è quasi al minimo. Del resto l’organismo dovrebbe essere già stato operativo dal primo gennaio. Ma il bando per la selezione del gruppo dirigente fu pubblicato soltanto il 23 dicembre. Un bando in cui si stabiliva che a farne parte fossero tre superesperti di finanza pubblica, i cui compensi fossero parametrati per il presidente su quello del presidente dell’Agcom, cioè 240mila lordi, come recentemente predisposto dalla normativa sul tetto dei manager e per gli altri due pari l’80% di quell’importo. Tutti scelti dai presidenti di Camera e Senato fra 10 nomi. Qui, però, il meccanismo si inceppa. Perché i dieci devono essere designati da una maggioranza qualificata dei due terzi delle commissioni bilanci dei due rami del Parlamento. Non in seduta comune in modo da velocizzare il processo.

Ma in seduta separata, fornendo un assist all’ostruzionismo dei partiti e dei franchi tiratori. Che di fatto impiegano quattro mesi per trovare la sintesi sui dieci nomi da portare al tavolo di Laura Boldrini e Pietro Grasso. I quali poi, per usare le parole dell’ex sottosegretario all’economia del governo Monti, Gianfranco Polillo “privilegiano le discendenze partitiche”. Nominando per i tre ruoli apicali della nuova struttura Giuseppe Pisauro (presidente), Chiara Goretti (consigliere) e Alberto Zanardi (consigliere). Tre nomi di stretta osservanza democratica: essendo il primo vicino all’ex segretario Pier Luigi Bersani e all’ex ministro Vincenzo Visco, il secondo collaboratore di lungo corso di mr spending review Carlo Cottarelli, mentre Zanardi viene definito un’economista che gravita in orbita “renziana”.

Dal giorno della nomina dell’ufficio di presidenza del maggio scorso l’Upb non si è certo distinto per l’incessante attività. Anzi. Nel sito provvisorio – “è in costruzione il sito istituzionale definitivo www.upbilancio.it” – si annoverano soltanto una serie di nomine tra cui quella del direttore generale Daniele Cabras, dirigente della Camera, già collaboratore di Saccomanni e Bindi, figlio dell’ex parlamentare Dc Paolo Cabras, cui spetterà un trattamento economico “pari a quello spettante al componente del Consiglio direttivo, ridotto del 3%”. L’approvazione dei regolamenti di funzionamento, di amministrazione e contabilità. E poco altro. Eppure dai vertici dell’Upb la replica è netta. Spiega a ilfattoquotidiano.it uno dei componenti del Consiglio, l’economista Alberto Zanardi: “Noi come consiglio siamo operativi dal mese di maggio perché siamo stati nominati in data 30 aprile. In questa fase ci siamo occupati dello staff – che per i primi tre anni prevede 30 unità – e di mettere in moto la macchina. Lo staff percepirà in base al ruolo uno stipendio variabile fra i 53mila e i 169,7mila euro lordi annui. Abbiamo anche incontrato il ministro Padoan stipulando, come si legge nel sito, un protocollo di intesa con il ministero dell’Economia e delle finanze, relativo alla trasmissione delle informazione necessarie ai fini della certificazione delle previsione macroeconomiche e della valutazione sulla finanza pubblica”.

In primo piano, però, resta una spesa di 6 milioni di euro l’anno soprattutto in una fase in un cui a dare la linea dovrebbe essere la spending review. Un numero che non scandalizza il consigliere Zanardi perché “noi facciamo un mestiere oggettivamente non facilissimo. Del resto si tratta di selezionare personale altamente qualificato. Ad oggi il budget è sempre lo stesso. Ma noi, avendo iniziato l’attività a metà anno, risparmieremo tenendoci al di sotto di quella cifra”.

Twitter: @GiuseppeFalci

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