Anche secondo chi è convinto che nella tragedia del Moby Prince tutto sia chiaro restano interrogativi irrisolti. La ricostruzione ufficiale della magistratura dice: la sera del 10 aprile 1991 c’era nebbia e il Moby – per disattenzione del comando della nave – è andato dritto per dritto contro la petroliera Agip Abruzzo mentre usciva dal porto e a bordo in 140 sono morti in mezz’ora, mentre il mozzo (sopravvissuto) ha resistito un’ora e mezzo. Uno di quegli interrogativi riguarda una manichetta innestata in un portellino della cisterna 6 della nave Snam. Ed è proprio su questo che si è pronunciato il consulente della Procura di Livorno Andrea Gennaro, il cui presunto “conflitto d’interessi” (per i suoi rapporti professionali con Moby e Eni) è finito in un’interrogazione del Pd al ministro della Giustizia Andrea Orlando

Gennaro ha potuto lavorare solo con i documenti dell’Agip, con le deposizioni dell’equipaggio dell’Agip e con immagini scattate nel poco tempo a disposizione, durante l’unico accesso a bordo della nave Snam di un gruppo di periti (della Procura e delle parti). La manichetta viene fotografata dai consulenti tecnici della Procura nell’unico sopralluogo autorizzato sull’Agip Abruzzo pochi giorni dopo la sciagura: 20 minuti per visionare una petroliera lunga quanto 3 campi da calcio e alta quanto un palazzo di 8 piani. Tra le poche foto realizzate una li incuriosisce: mostra una manichetta bruciacchiata innestata nella cisterna 6 centrale della petroliera. Tecnicamente è un azzardo: lasciare una cisterna aperta, significa esporre tutti ad un pericolo enorme dato dalla perdita del gas inerte. I membri dell’equipaggio dell’Agip Abruzzo raccontano di non aver fatto in tempo a toglierla quando è scoppiato l’incendio causato dalla collisione con la Moby Prince. Ma cosa stavano facendo con quella manichetta? I magistrati – tutti, dalla prima inchiesta del 1991 a quelli dell’inchiesta bis del 2010 – hanno accolto il seguente racconto: stavano svuotando le acque di sentina (l’acqua sporca della sala macchine). Procedura illegale, è vero, ma, come disse il comandante Romano Pauli – consulente tecnico della Snam nel processo – “di routine”. La cisterna conteneva 16 tonnellate di greggio residuo. Ma come? Due autobotti di carburante contaminate perché doveva essere svuotata l’acqua sporca del motore? Non solo: a due metri di distanza dalla cisterna 6 c’è la cisterna “slop” che in inglese significa appunto “acqua sporca”. Perché l’acqua di sentina non viene gettata lì? Infine ci sono le parole di Renato Superina, il comandante della petroliera, sentito dai magistrati il 20 ottobre 2009. Benché già molto malato (morirà il 26 aprile 2011), accetta di rispondere alle domande della Procura e racconta che in realtà nostromo e tanchista stavano “lavando delle cisterne” non “svuotando la sentina”. 

La relazione di Andrea Gennaro consegnata alla Procura nel 2009 è lunga 28 pagine. Deve rispondere a due quesiti avanzati dai magistrati. Il primo: “Descriva le caratteristiche tecniche della Agip Abruzzo, verificando attraverso i rilievi fotografici e gli accertamenti in atti i danni della stessa riportati il 10 aprile 1991”. Il secondo: “Chiarisca, anche alla luce delle dichiarazioni rese dal personale di bordo della predetta M/C (cioè la nave, ndr), il significato tecnico della presenza di una manichetta in corrispondenza della cisterna 6 centrale in relazione al contenuto delle cisterne e alle operazioni connesse”.

Di 28 pagine 5 riferiscono dei documenti e delle immagini utilizzate per fare la perizia (l’Agip Abruzzo oggi non esiste più), altre 6 descrivono le caratteristiche tecniche della petroliera e 2 quelle del Moby Prince. Cinque pagine vengono utilizzate per una “descrizione sommaria – come si legge – della collisione e delle deformazioni delle strutture dell’Agip Abruzzo”, dove si spiega la dinamica dell’incidente. Ma aggiunge un elemento che Gennaro – raggiunto al telefono dal fattoquotidiano.it – ancora oggi conferma: “Il Moby Prince viaggiava con il portellone prodiero di seconda difesa aperto e l’impianto sprinkler disattivato”. Due elementi contestati per motivi diversi dalle associazioni dei familiari.

E infine 4 pagine sono dedicate al secondo quesito: il significato della manichetta. “Le macchine e i motori di una nave, a motivo della loro gestione e manutenzione, producono acque oleose di sentina – spiega all’inizio del capitolo l’ingegnere – che vengono trasferite nelle casse di contenimento delle stesse”. Ma, ricorda l’ingegnere, in Italia non si può, per legge. Il consulente dunque conferma – attraverso fotografie e dichiarazioni a verbale – la tesi dell’equipaggio dell’Agip. “La manichetta, trovata carbonizzata in vicinanza del portellino butterworth della cisterna 6 CN (centrale, ndr), così come è stata installata, poteva essere impiegata unicamente per operazioni di mandata di un fluido in cisterna, e non poteva essere impiegata per operazioni di aspirazione dalla cisterna 6 CN stessa”.

Premesse, queste, all’ultima pagina con 16 righe in cui Gennaro elenca le sue conclusioni. Primo: la Agip Abruzzo al momento della collisione era “pienamente conforme” a tutte le norme del Rina e della legge. Secondo: a bordo funzionava tutto. Terzo: a bordo non c’era alcuna manutenzione in corso. Quarto: i danni sono congruenti con la collisione. Quinto: la manichetta serviva per buttare l’acqua di sentina nella cisterna 6. Sesto: la manichetta non poteva essere usata per un motivo diverso da quello.

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