Si intitola Will I be next? US drone strikes in Pakistan, “Sarò io il prossimo? Gli attacchi con i droni USA in Pakistan”. E’ il rapporto preparato nei mesi scorsi da Amnesty International e presentato a Londra, in cui si dà conto della lunga serie di omicidi condotti dalle forze Usa con i droni nelle aree tribali nel nord-ovest del Pakistan. Assassini di civili, terrore, mancanza di trasparenza, addirittura crimini contro l’umanità: l’accusa di Amnesty alle autorità politiche e militari USA è devastante. “I droni sono come l’angelo della morte – ha detto ad Amnesty Nazeer Gul, un commerciante di Miram Shah -. Soltanto loro sanno quando e dove colpiranno”.

Più volte nei mesi scorsi l’amministrazione americana ha presentato la strategia di attacchi con i droni gestita dalla Cia in Pakistan come “un trionfo con poche ricadute negative”. Si è trattato di circa 300 attacchi a partire dal 2008, durante i quali sarebbero stati uccisi dozzine di talebani e militanti di Al Qaeda, in operazioni che la Cia e l’amministrazione Obama hanno sempre descritto come “chirurgiche” e “limitate”, capaci di colpire i militanti ma di tutelare la vita dei civili. Negli ultimi mesi gli attacchi, come ha spiegato il segretario di Stato John Kerry in visita a Islamabad lo scorso agosto, sono diminuiti e la Casa Bianca starebbe anche pensando di chiudere il programma.

La realtà descritta da Amnesty è molto diversa dalla verità ufficiale Usa. Il gruppo per la difesa dei diritti umani ha preso in esame tutti i 45 attacchi che hanno colpito il Waziristan del Nord tra il gennaio 2012 e l’agosto 2013. Secondo Amnesty, i droni avrebbero ucciso, in due soltanto di questi attacchi nel gennaio 2012, almeno 19 civili. Nel luglio 2012, 18 persone, tra cui un ragazzo di 14 anni, sono state assassinate in un villaggio ai confini dell’Afghanistan mentre stavano cenando, al termine di una giornata di lavoro. Nell’ottobre 2012 Mamana Bibi, una donna di 68 anni, è stata uccisa da un missile Hellfire mentre raccoglieva dei vegetali nel campo di famiglia circondata da alcuni tra i suoi nipoti. Nessuna delle vittime poteva in alcun modo essere collegata ai militanti islamici.

Il villaggio più colpito dalle operazioni militari della Cia pare essere, secondo Amnesty, Miram Shah, nel nord-ovest del Paese, un agglomerato di case attaccato per ben 13 volte dai droni a partire dal 2008, con altri 25 attacchi lanciati nelle zone circostanti. Miram Shah è l’area urbana più devastata dalla guerra al mondo, dove i residenti vivono nel terrore e nella privazione di ogni tipo di legge e giustizia. Amnesty racconta come gli abitanti dell’area siano costretti a vivere tra due fuochi: da un lato “l’angelo della morte”, e cioè i missili lanciati dal cielo dagli americani, dall’altro la violenza di cui i civili sono continuamente oggetto da parte di talebani e militanti di Al Qaeda, che uccidono chiunque sia sospettato di essere “una spia americana”. Frequente è per esempio il caso di uomini e donne trovati massacrati ai lati delle strade, con addosso cartelli in cui si dice che “chiunque diventi un collaboratore degli americani farà la stessa fine”.

Esiste una base militare americana a circa dieci chilometri da Miram Shah, sede di una nutrita flotta di elicotteri da combattimento Cobra, ma a parte qualche sporadico tafferuglio con gli islamici, i soldati USA restano confinati all’interno della base. Il villaggio è completamente controllato da talebani e militanti radicali, che girano indisturbati per le strade imbracciando fucili AK-47, sovrintendendo a qualsiasi attività soprattutto nel locale bazaar e arrivando persino a dirigere il traffico nel centro del villaggio. L’unica sfida al potere dei militanti islamici su Miram Shah viene dagli attacchi dal cielo, con gli agenti della Cia che negli ultimi mesi hanno preso di mira una panetteria, una ex-scuola per le ragazze, una fabbrica di fiammiferi e un ufficio per l’invio di denaro.

Il terrore per le violenze e gli assassini è accompagnato dalla mancanza di qualsiasi forma di giustizia. Nessun agente Usa è mai stato accusato delle morti civili, proprio per “la segretezza che circonda la licenza di uccidere che si sono attribuite le autorità americane”. Ma le vittime della violenza non possono neppure contare sul sostegno delle autorità del loro Paese, che nonostante le denunce della strategia di attacchi con i droni non hanno mai davvero messo in discussione i rapporti con l’amministrazione Usa. Tra gli altri effetti degli attacchi, secondo Amnesty, ci sono la mancanza di cure mediche adeguate, il crollo delle attività agricole che esistevano nella zona, l’esodo forzato per migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le loro case per le violenze.

Il paesaggio di morte rappresentato da Amnesty International, che arriva a parlare di “crimini di guerra e violazione della legge internazionale” da parte degli Stati Uniti, è accompagnato da una richiesta al presidente Barack Obama di interrompere gli attacchi e dare immediato seguito alle promesse del discorso del maggio 2013, quando Obama parlò di una maggiore trasparenza sugli attacchi. “Quelle promesse devono ancora diventare realtà e gli Stati Uniti si rifiutano di divulgare persino le più elementari informazioni”, conclude Amnesty.

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