Ogni giorno ormai, purtroppo, i media ci informano della vera e propria emergenza planetaria in atto costituita dalla violenza contro le donne ed i bambini, a cominciare dalle forme più esecrabili di violenze sessuali, le quali, soprattutto nel quadro dei conflitti armati, sono diventate una vera e propria arma di guerra e di distruzione di massa.

Ciò avviene con speciali gravità e sistematicità nella regione dei Grandi Laghi dell’Africa, e particolarmente nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove un vero e proprio genocidio contro le donne ed i bambini è in corso da almeno 20 anni, come mostra questo (breve) servizio di Rai News 24 che vi invito a visionare per una migliore comprensione del problema.

Nell’ex-Zaire, l’Onu è presente in forze dal 1999, tramite la MONUSCO, la più grande missione di pace del pianeta, un mastodonte che costa ai contribuenti internazionali circa tre milioni seicentomila euro al giorno (un miliardo e 350 milioni di dollari all’anno), e che, malgrado possa contare su una forza di oltre 24.000 persone delle quali quasi 20.000 militari, incontra sempre maggiori difficoltà ad arginare questo fenomeno mostruoso.

Addirittura a tal riguardo la missione ha invece persino svolto, purtroppo, un ruolo deleterio, visto che si sono registrati decine di casi in cui dei peacekeepers hanno a loro volta commesso gravi abusi sessuali ai danni di donne e bambini, mentre altri hanno condotto traffici d’armi in cambio di oro con quelle stesse milizie congolesi a cui l’Onu dovrebbe impedire di torturare e uccidere le popolazioni.

Il mandato conferito dal Consiglio di Sicurezza alla missione prevede in effetti di dare “priorità in decisioni che riguardano l’uso della capacità e delle risorse disponibili” alla protezione dei civili, usando “misure innovative” a tal fine; ed in effetti, sembra proprio urgente innovare qualcosa per rendere efficace la protezione dei civili in un paese dove alcune stime fissano ad oltre cinque milioni il numero delle persone uccise nella guerra, e dove centinaia di migliaia di donne, bambini e persino uomini sono stati atrocemente violentati e torturati (soprattutto nelle zone nordorientali del Kivu di cui è in atto il saccheggio delle risorse come il coltan, usato nella fabbricazione dei nostri Pc e cellulari).

Ora, il caso del Congo non è un caso isolato, visto che agenti Onu (militari come civili) si sono resi colpevoli di abusi sessuali in molti altri posti : dalla Bosnia e dal Kossovo alla Cambogia; dal Timor Est alla Somalia, all’Africa Occidentale, ad Haiti.

Il Wall Street Journal ci informa peraltro che anche “le Nazioni Unite, che aspirano a proteggere i diritti umani nel mondo, fanno fatica ad affrontare una serie imbarazzante di denunce di assedio sessuale nei loro stessi ranghi” e che “molti dipendenti Onu che hanno emesso o subito accuse di assedio sessuale dicono che il sistema attuale di trattamento delle denunce è arbitrario, ingiusto ed impantanato nella burocrazia”. Inoltre, molte donne che hanno denunciato abusi dicono che i loro contratti di lavoro non sono stati rinnovati.

Ho già mostrato in precedenti articoli come l’attuale crisi di risultati dell’Onu trovi la sua origine proprio nella contraddizione stridente tra i principi ufficiali e gli slogan, sempre molto nobili, e la pratica dell’Organizzazione, che purtroppo in molti casi è assai diversa.

Per esempio, mentre l’Alta Commissaria Onu per i diritti umani invoca a parole protezione per coloro che denunciano illegalità ed abusi, l’Onu (Ufficio dei diritti umani compreso) perseguita, nella pratica, i temerari whistleblowers che hanno osato intervenire a difesa delle leggi, con l’isolamento, la diffamazione e la distruzione delle loro carriere e delle loro vite.

E’ andata cosi’ anche a Kathryn Bolkovac, a cui è dedicato un film del 2011 che si chiama, per l’appunto, The Whistleblower: la storia vera di un’ex investigatrice di polizia americana, sotto contratto in Bosnia con una società privata militare americana al servizio dell’Onu, che avendo denunciato un traffico di esseri umani a scopi di sfruttamento sessuale nel quale erano coinvolti alcuni funzionari Onu, fu per tutta risposta isolata, diffamata ed infine ingiustamente licenziata.

In seguito, la signora Bolkovac sarebbe riuscita a fare riconoscere dai tribunali britannici il proprio illecito licenziamento (ciò è stato possibile perché la società americana non è protetta dall’immunità di cui godono invece le Nazioni Unite), ma nessuno dei funzionari Onu coinvolti in questa sordida storia, a quanto risulta, è mai finito di fronte ad un giudice.

Sotto pressione, nel corso degli anni, l’Onu ha istituito una successione di task forces e meccanismi ad hoc, adottato «zero tolerance policies», creato un nuovo ufficio per promuovere i diritti delle donne, UN Women; ha messo in atto politiche di discriminazione positiva per favorire l’accesso di un numero uguale di uomini e donne, ha condotto inchieste e rinviato a casa numerosi peacekeepers, ma il problema degli abusi sessuali continua, come denuncia il New York Times.

E benchè l’Onu sostenga che le denunce di abusi sessuali commessi dal proprio personale sono diminuite negli ultimi anni, bisognerebbe comprendere se la ragione della diminuzione delle denunce risiede nella diminuzione degli atti criminali, o se invece le denunce diminuiscono perchè denunciare serve soprattutto, nella maggioranza dei casi, a finire in guai ancora più grossi.

Quel che è certo è che non accennano, purtroppo, a diminuire invece gli stupri commessi ai danni delle popolazioni congolesi che l’Onu avrebbe il preciso dovere di proteggere, come ha riconosciuto ancora pochissimi giorni fa lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

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