Stefano Rodotà: “Una riforma di parte”
A parte le indubbie ed evidenti forzature costituzionali, questo tentativo di revisione della Carta propone difficili questioni politiche. La prima riguarda il fatto che la revisione è parte del cosiddetto “cronoprogramma” di governo. Così si associa la modifica costituzionale alla maggioranza più debole, contraddittoria e precaria della storia della Repubblica e la si fa diventare una questione di parte, dunque oggetto di conflitto e non di condivisione. Ricordiamo che la scrittura della Costituzione fu resa possibile anche da quello che fu chiamato “l’isolamento della Costituente” rispetto al governo, sicché i costituenti riuscirono a lavorare insieme anche dopo che De Gasperi fece cadere il governo tripartito.

Le due revisioni costituzionali generali degli ultimi anni sono state un fallimento proprio perché condotte all’insegna del conflitto e identificate con una maggioranza precaria: mi riferisco alla riforma del Titolo V che ha provocato più problemi di quanti volesse risolvere e alla “costituzione berlusconiana” bocciata da 16 milioni di cittadini nel 2006. Condivido, poi, quanto dice Salvatore Settis a proposito del fatto che la revisione costituzionale non può essere affidata a un parlamento di nominati. Aggiungo che si tratta di un Parlamento eletto sulla base di una legge viziata di incostituzionalità, argomento che mostra come sia stata imboccata una strada politicamente pericolosa.

L’iniziativa del Fatto, che si collega a tante altre, è particolarmente importante perché di fronte a questi rischi è indispensabile una mobilitazione sociale che dia forza e legittimazione a chi in Parlamento ha deciso di fare opposizione. Conferma la necessità di insistere perché in seconda lettura il Parlamento non approvi la legge con la maggioranza dei due terzi, consentendo così ai cittadini di potersi esprimere anche sulla procedura di revisione. E infine prepara le condizioni perché, qualora la sciagurata revisione venga approvata, i cittadini possano organizzarsi e agire – come nel 2006 – per scongiurare una profonda distorsione del nostro sistema.

Barbara Spinelli: “Uno scopo sbagliato”
Doveva essere un governo breve, che abolisse il Porcellum e ci portasse senza traumi economici eccessivi a nuove elezioni. Invece abbiamo un esecutivo che crede di minimizzare quando si dice “di scopo”, e infatti uno scopo grande e incongruo ce l’ha: durare il tempo necessario per cambiare la Costituzione, senza subito darci, come dovrebbe a seguito del giudizio della Cassazione, una nuova legge elettorale. Risultato: un Parlamento di nominati, costituzionalmente screditato, nomina ristretti comitati incaricati d iriscrivere la Carta scavalcando regole e tempi che la Costituzione prescrive.

Dove sia lo scopo è chiaro: fissare e affrancare un governo che – una volta definito “senza alternative” – diviene per forza di cose onnipotente, incontrollato, auto-perpetuantesi. La Costituzione, fatta di regole rigide per proteggerci con le sue mura, deve essere edulcorata, deve diventare presidenziale, e rompere i ponti con l’esperienza antifascista. Lo ha decretato la JP Morgan in un rapporto del 28 maggio scorso. In passato lo decretò il piano della P2. Adesso i governi di larghe intese eseguono.

da Il Fatto Quotidiano del 31 luglio 2013

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