Giuseppe Procaccini, il capo gabinetto del ministro dell’Interno Alfano, si è dimesso “per senso delle istituzioni”. E’ sua, quindi, la prima testa a cadere per il pasticciaccio brutto dell’espulsione della moglie e della figlia minorenne del dissidente kazako Ablyazov. Il 28 maggio fu proprio Procaccini a ricevere l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere: al centro della riunione Ablyazov, dissidente kazako oppositore del regime, già capo di un’importante banca kazaka, accusato di truffa e ricercato dal Kazakistan e anche da Mosca, come risulta dalla sua scheda inserita nel sito dell’Interpol. Muktar sarebbe a Casal Palocco. Procaccini spiega ai kazaki che la competenza è della polizia e li invia al Dipartimento pubblica sicurezza. Contestualmente al suo passo indietro, l’ormai ex capo gabinetto del Viminale, però, ha ‘protetto’ il vicepremier, assicurando che “il ministro non sapeva” dell’accaduto.

“La mia decisione non ha alcun collegamento con la relazione del capo della polizia Pansa, che non ho letto”, precisa Procaccini a Il Fatto Quotidiano. La decisione è maturata dopo “la lettura dei quotidiani e in particolare del Fatto, che mi riserva un attacco ingiusto”, afferma. “Ma per tutelare le istituzioni ho pensato fosse meglio fare un passo indietro”. E sul ruolo del ministro Alfano? “Di questo non parlo, dico solo che non sono stato io a informarlo del caso”. 

Fatto sta che più si avvicina il momento della verità sul caso, più diventa elettrica la situazione del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che riferirà della questione in aula al Senato alle 18 e alla Camera alle 20 di oggi. Da una parte la relazione del capo della polizia Pansa, dall’altra la mozione di sfiducia presentata da M5S e Sel (che sarà votata venerdì mattina nell’aula di Palazzo Madama). Per quanto riguarda l’indagine interna, in mattinata il capo della polizia Alessandro Pansa, che ha convocato ieri nel suo ufficio i protagonisti di questa storia, ha consegnato oggi un rapporto sull’espulsione delle due persone. Per le 15.30, invece, è stata fissata la riunione dei capigruppo al Senato, il cui compito è quello di calendarizzare la discussione della mozione di sfiducia in cui si parlerà delle dimissioni del vice premier e numero uno del Viminale. M5S e Sel hanno chiesto il voto segreto: se la richiesta dovesse passare, Alfano rischierebbe il fuoco incrociato dei falchi Pdl e dei dissidenti interni del Pd. Con sviluppi politici tutti da valutare anche sull’altare delle larghe intese. Intanto il Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, ha chiesto a Letta di riferire sulla mancata consultazione dei servizi per questa vicenda. 

La relazione di Pansa, le accuse di Scajola e Maroni
Ritornando alla relazione del capo della polizia, a farne le spese rischiano di essere i vertici del dipartimento di Pubblica sicurezza, del Viminale, o della questura di Roma. Tra i più a rischio oltre a Procaccini che ha già annunciato le proprie dimissioni, ci sono il segretario del dipartimento di sicurezza, Alessandro Valeri; il capo della polizia pro tempore, Alessandro Marangoni. Il vicepremier Angelino Alfano, intanto, continua a negare ogni responsabilità. Ma per il ministro dell’Interno i rischi sono concreti, soprattutto se dovesse passare la richiesta di un voto segreto. Il Popolo delle libertà fa intanto quadrato attorno ad Alfano, con falchi e colombe schierati nelle ultime ore ufficialmente al suo fianco. Ma c’è anche una voce fuori dal coro. “Come fa un ministro a non essere informato?”, si chiede l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola in un’intervista al Fatto Quotidiano, sottolineando l’importanza del rapporto di fiducia e del contatto costante con il proprio capo di gabinetto e concordando (“non ci sono spiegazioni alternative”) con l’ipotesi formulata dall’intervistatore, secondo cui Alfano sapeva e ha agito male oppure non sapeva e non controlla il ministero. Simile la presa di posizione di Roberto Maroni: “Non faccio valutazioni, dico solo da ex ministro dell’Interno che casi del genere erano gestiti dalla struttura con il coinvolgimento di tutti, anche ovviamente del ministro” ha detto il governatore della Lombardia, che poi, scendendo nel particolare, ha sottolineato che il governo non potesse non sapere. “Mi pare difficile – ha sostenuto il leader della Lega – che un’operazione così complessa, rapida e spettacolare sia stata fatta senza che il governo sapesse. Io penso che il governo sapesse”. Maroni, infine, ha apecificato di aver “chiesto chiarimenti anche sull’atteggiamento del ministero degli Esteri, i funzionari avrebbero detto di non sapere nulla dello status di protezione diplomatica della signora: ci sono tanti misteri da chiarire, da cittadino mi auguro vengano chiariti”.

La presa di posizione di Epifani. Franceschini: “La relazione di Pansa sia pubblica”
Più rivolta alle conseguenze politiche la presa di posizione del segretario del Pd Guglielmo Epifani. “Se sapeva e ci sono fatti acclarati va da sè; ma se non sapeva realmente, io mi domando perché è stato fatto a sua insaputa, cosa c’è dietro e sarebbe stato più inquietante” ha detto il segretario democratico. Epifani, poi, ha commentato il passo indietro di Giuseppe Procaccini, sottolineando che le dimissioni del capo gabinetto di Alfano non sono “un fatto usuale, non ricordo uno con un ruolo così importante dimissionario”. Per il resto, ha continuato il leader democratico, “vediamo le carte e capiamo cosa il governo decide di fare e poi faremo una valutazione corretta”. Sulla mozione che chiede le dimissioni di Alfano, per l’ex sindacalista di tratta di un atto “comunque prematuro”: “Qui – ha detto – c’è la corsa a far subito”. Si sarebbe dovuto attendere che il governo riferisse e poi “sulla base di quello si decide la mozione di sfiducia verso chi e perché”. E se Alfano decidesse di dimettersi? A sentire Epifani, in tal caso ci potrebbe essere una crisi di governo: “Immagino che il Pdl trarrebbe qualche conseguenza, ma tutto sta a cose che emergeranno” sulla vicenda.

Il capogruppo democratico al Senato Luigi Zanda, invece, ha specificato che “il Pd deciderà la linea da seguire sul caso Ablyazov-Shalabayeva solo dopo aver ascoltato l’intervento del ministro dell’Interno Angelino Alfano”. “Il segretario ha detto che se sapeva va da sè? La penso come lui” ha aggiunto Zanda. Dal fronte Pd nel governo, invece, il ministro Dario Franceschini ha chiesto di render pubblica la relazione del capo della polizia: “Su questa vicenda, nell’interesse di tutti, serve la massima trasparenza – ha detto Franceschini – Per questo il governo ha chiesto che la relazione del capo della polizia fosse resa pubblica dal ministro dell’Interno”.

La nota che fa preoccupare Alfano
Un nuovo dettaglio, intanto, rischia di mettere i bastoni tra le ruote al ministro. I riflettori sono ora puntati su una nota trasmessa dall’ambasciata kazaka alla questura di Roma che alimenta ulteriori dubbi sulla versione ufficiale. La missiva, come spiega il Corriere della Sera, rivela nuovi punti oscuri nella procedura che ha portato all’espulsione delle due persone. In quella lettera la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile che invece era sul passaporto mostrato di fronte ai poliziotti. Il documento ricostruisce la storia del dissidente, indicato come “ricercato inserito nel bollettino rosso internazionale”, e si conclude con la “richiesta di arresto”. Gli addetti dell’ambasciata scrivono che “nel febbraio 2012 in Gran Bretagna, come una decisione della Corte suprema di Londra, gli è stata attribuita la detenzione in carcere per un periodo di 22 mesi per mancanza di rispetto della Corte, ma lui è fuggito dalla giustizia inglese”. Non solo. Nella missiva, dopo aver fornito l’indirizzo “dove Ablyazov attualmente soggiorna”, i kazaki chiedono di “identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966″. Alla luce del contenuto della nota ci si chiede quindi perché non si decise di fare un ulteriore controllo trasmettendo anche il nominativo completo, così come compariva nei documenti ufficiali messi a disposizione dalla diplomazia, per verificare che si trattava della moglie del rifugiato molitico. I punti da chiarire, quindi, si moltiplicano. Mentre iniziano le scommesse su quali saranno le teste prossime a cadere.

Le nuove accuse del legale di Alma Shalabayeva
”In questa vicenda c’è stata una violazione evidente dei diritti umani e non mi pare neppure del tutto esatto quel che si dice nel decreto di revoca dell’espulsione, cioè che non si sapessero certe cose: chi operava aveva gli elementi per sapere chi fosse Alma Shalabayeva“. Parola di Riccardo Olivo, legale della donna espulsa in Kazakistan, che oggi sarà in audizione dalla commissione diritti umani del Senato. Non solo. “Non abbiamo avuto un vero accesso agli atti e questo è un fatto grave” ha detto Olivo nel corso dell’audizione, in cui ha spiegato che da parte di Alma Shabalayeva ”nella fase precedente al blitz non è stata presentata una richiesta di asilo”, ma questo è stato fatto “nella fase topica, dopo che lei è stata fermata, ma è stato impossibile: questa possibilità ce l’hanno sottratta oltre ad aver sottratto fisicamente la donna prima che iniziasse l’orario di ricevimento al Cie dove poter formalizzare” l’istanza.

Aggiornato dalla redazione web alle 17,05

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