Io amo l’Onu, di cui mi considero un figlio. O, per lo meno, amo l’Idea della Carta fondatrice, amo l’azione dell’Onu nello sviluppo del diritto internazionale e dei diritti fondamentali della persona umana.

Ma i tanti anni che ho speso al servizio dell’Onu, in luoghi ed in dipartimenti, agenzie e programmi diversi, mi hanno svelato una complessiva omogeneità del sistema e, stando almeno alla mia esperienza, l’Onu è un’organizzazione che difende i principi della democrazia e dei diritti umani, e promuove lo sviluppo e la pace, ma, a parte alcune eccezioni legate al merito di individui fuori dal comune, troppo spesso solo sulla carta.

In pratica, dal 1945 ad oggi, l’Onu sembra essersi trasformata, da meravigliosa speranza di un mondo migliore, in una burocrazia sempre più fine a se stessa, fondata su ferree e poco meritocratiche gerarchie, e caratterizzata da modalità di funzionamento e rituali interni che frequentemente mi hanno fatto pensare, con sconcerto, ad una kafkiana babele di slogan e acronimi, in cui a latitare è troppo spesso soprattutto il talento, fuggito dall’Onu per potere esercitare altrove (qualora un tale luogo esista al giorno d’oggi) le libertà di pensiero, di opinione e d’espressione; e nella quale i cittadini del mondo, ai quali pure tocca l’onere di finanziarla attraverso le tasse, non hanno mai la minima voce in capitolo.

I cittadini, infatti, non sanno, e soprattutto non devono sapere nulla (non parliamo poi di partecipare, al di là dello status di osservatore concesso ad un certo numero di Ong) né sulle scelte che essa compie, e sui risultati precisi della sua azione, né sul funzionamento interno, gli sprechi, le ingiustizie e le aberrazioni che pure esistono all’interno del mastodonte globale, come ogni tanto ci rivelano i media.

L’Onu parla, in effetti, di stato di diritto, buon governo e trasparenza, promuove trattati e convenzioni che s’impongono agli Stati, ma in pratica, come abbiamo già cominciato a mostrare nei post precedenti, è essa stessa legibus soluta, al punto di non rispettare non solo i trattati, ma neppure sempre le proprie regole interne, e addirittura, talvolta, nemmeno le decisioni dei propri tribunali.

L’impressione che se ne trae è che l’Onu sembra ritenere di non avere alcun conto da rendere ai cittadini del mondo, nemmeno a quelli più direttamente danneggiati da alcuni aspetti nefasti della sua azione (si veda il caso dei poveri Haitian); e men che meno, più generalmente, su come usa (e a vantaggio di chi) gli ingentissimi fondi che sono posti a sua disposizione dagli Stati, limitandosi ad un’opera di cosiddetta «public information» che in realtà è volta non ad informare, ma a mantenere la fiducia del pubblico di contribuenti nel sistema stesso. Una fiducia che non dovremmo più, a mio avviso, concedere alla cieca.

In questo senso ho inizialmente interpretato, ed en passant commentato, il messaggio postato su Facebook il 29 giugno 2013 da José Graziano Da Silva, Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), che in occasione di un ennesimo summit dell’Onu sulla fame in Africa affermava che «possiamo mettere fine alla fame in Africa»: ancora uno slogan partorito da funzionari internazionali che forse guadagnano troppi soldi per sapere cos’è davvero questa fame a cui vogliono mettere fine.

Ma ci sono qui due differenze. La prima è, per chi non lo sapesse, che il signor José Graziano Da Silva è una persona realmente competente per fare il lavoro che fa, per avere ottenuto nel suo paese risultati straordinari con l’incarico di Ministro per la sicurezza alimentare, grazie al programma Fame Zero che pare avere avuto grandi effetti nella lotta contro la povertà in Brasile.

La seconda è che, invece di ignorarlo, come troppo spesso succede all’Onu quando giungono critiche, il signor José Graziano Da Silva ha risposto al mio commento, dicendo (tradotto dallo spagnolo): “Salve Enrico Muratore: non stiamo parlando di slogan, stiamo eseguendo azioni concrete ed intendiamo moltiplicarle affinché tutti possano esercitare il proprio diritto all’alimentazione. In merito al mio stipendio, ho restituito parte di quanto ricevo ed ho richiesto ai Paesi Membri della FAO l’autorizzazione di reinvestire queste risorse in progetti che appoggino la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile delle comunità povere*»

Questa risposta (e il fatto stesso di rispondere) mi è sembrata così meravigliosa da fare rinascere in me la speranza in un’Onu migliore, dove l’esempio venga direttamente dai leader. Ho dunque immediatamente scritto a José Graziano Da Silva per informarlo del mio blog e chiedergli un’intervista per Il Fatto Quotidiano.

Spero sempre, a qualche giorno di distanza, che risponda al mio invito, perché non mancherebbero le domande da porgli, rispondere alle quali mi sembra essere di pubblico interesse, soprattutto da noi in Italia, dove la Fao ha sede, a Roma; sarebbe interessante, in effetti, sapere innanzitutto a che serve e a che è servita finora in pratica la Fao.

Invito peraltro i lettori che lo desiderino a formulare essi stessi, nei commenti al presente post, eventuali domande da porre al Direttore Generale, augurandomi che non andrà persa questa nuova ottima occasione di lanciare in Italia un dialogo democratico, diretto, civico e trasparente intorno all’utilità, funzioni, costi e risultati delle istituzioni internazionali, compresa la Fao e l’Onu nel suo insieme.

Credo, infatti, che in questi tempi di crisi e di disaggregazione sociale planetaria, di fronte alle minacce che incombono e le tragedie che già colpiscono tanti milioni di esseri umani, sia giunto il momento o mai più di rinnovare, o per meglio dire, di creare, il patto democratico dell’Onu con i cittadini; che sia venuta l’ora della verità e della partecipazione alle decisioni di Noi Popoli delle Nazioni Unite.

Signor Da Silva, risponderà alle domande ?

 

* José Graziano Da Silva: Hola Enrico Muratore : no estamos hablando de esloganes, estamos implementando acciones concretas y de la voluntad de redoblarlas para que todos tengan asegurado su derecho a la alimentacion. Sobre lo que recibo, yo he devuelto parte de lo que recibo y he solicitado a los Paises Miembros de la FAO autorizacion para reinvertir eses recursos en proyectos que apoyen la seguridad alimentaria y el desarrollo sostenible de comunidades pobres.

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