Tira una brutta aria nelle roccaforti del Pude (Partito Unico Dell’Euro), aria di imminente smobilitazione. Le crepe nel muro di gomma sono sempre più evidenti, il dibattito è aperto perfino nel paese che, per i più ingenui, avrebbe meno interesse ad aprirlo (la Germania), l’opposizione all’Eurss si fa, da scientifica, politica, e in paesi più democratici del nostro fa incetta di voti. Questa, peraltro, è un’altra fonte di preoccupazione, visto che lo spazio politico della verità tecnica (l’euro è insostenibile) è stato improvvidamente lasciato alle destre più becere da chi ha ucciso il dibattito a sinistra (in Italia il Pd).

Ma è proprio quando la fine si avvicina, che si manda in prima linea la carne da cannone. Le unità di élite (si fa per dire) meglio risparmiarle: chi scaltramente e per tempo ha dimostrato di avere un po’ di cervello, tornerà poi utile per negoziare al tavolo della pace, forte di un opportunistico “io l’avevo detto”.

Illuminante in questo senso la puntata di La vita in diretta” del 2 maggio scorso, condotta da un ottimo Marco Liorni. Una puntata che ha raggiunto vette di umorismo involontario grazie alle uscite di due estremi difensori dell’euro.

La star della giornata è stata senza dubbio il vicedirettore del Sole 24 Ore, che ha inanellato una perla dietro l’altra: secondo l’esperto del più autorevole quotidiano economico nazionale l’Italia sarebbe entrata nell’eurozona al cambio di 1700 lire per euro (peccato che una casalinga, intervistata, abbia appena ricordato la quotazione corretta); l’emissione di moneta o di debito pubblico sarebbero operazioni finanziarie equivalenti per lo Stato (dettaglio: sui titoli del debito si paga un interesse, sulle banconote no); lo scatafascio dell’eurozona sarebbe colpa dei commercianti che hanno fatto i furbi fissando arbitrariamente i prezzi (per un esperto è una visione del problema un po’ riduttiva, e per un giornalista è un modo irresponsabile di alimentare l’odio sociale).

Ma il culmine si raggiunge quando l’esperto si avventura in uno scenario catastrofico: lo sganciamento dall’Italia dall’euro porterebbe la benzina a costare sette volte di più.

Sette volte di più?

Il richiamo a un numero dal forte richiamo simbolico (i vizi capitali, le piaghe d’Egitto, i dolori di Maria, ecc.), è astuto, bisogna ammetterlo, e strappa l’applauso alla claque. Ma, come dire, “sotto il simbolo niente”. Perché l’ipotesi prospettata è così irrealistica da denotare una incompetenza in economia largamente superiore alla scaltrezza comunicativa.

Il costo del greggio in valuta nazionale può aumentare per due motivi: o perché aumenta il costo del barile in dollari, o perché aumenta il prezzo del dollaro (cioè perché la valuta nazionale si svaluta). In entrambi i casi il petrolio, in valuta nazionale (euro o lira che sia), costa di più, con un ovvio impatto sui prezzi. Dato che l’esperto del Sole 24 Ore collega l’aumento del prezzo della benzina all’uscita dall’euro, egli vuole lasciar intendere che se la nuova lira fosse libera di fluttuare, un dollaro, dall’oggi al domani, costerebbe sette volte di più: una rivalutazione del dollaro del 600%, o, se volete, una svalutazione della nuova lira dell’85%.

Ricordiamo allora: (1) i motivi per i quali l’Italia dal dopoguerra non ha mai sperimentato svalutazioni così catastrofiche, e (2) i motivi per il quali un aumento del greggio, comunque originato, non avrebbe l’impatto sui prezzi interni delineato dall’esperto.

Circa il primo punto, ricordo che la massima svalutazione contro il dollaro, su base annua, si è avuta nel 1981 ed è stata di circa il 30%. L’espertone di turno dirà: “Ma oggi il mondo è diverso, c’è la Cina!” (che non c’entra nulla, ma torna sempre utile per far paura all’interlocutore) “Non puoi prevedere il futuro in base al passato!”. Si sa, domani il sole potrebbe anche non sorgere, chi ha studiato Hume ne è consapevole. Ma un dato è certo: anche al buio, se la lira si svalutasse così tanto, una Ferrari California costerebbe meno di una Passat. Ed è questo è il motivo per il quale non ci sono state in passato e non ci saranno in futuro svalutazioni catastrofiche come quelle previste dall’esperto del Sole 24 Ore: in caso di sganciamento le banche centrali dei nostri concorrenti (Usa, Giappone, Germania) interverrebbero per sostenere la nuova lira, perché se non lo facessero distruggerebbero la competitività di prezzo delle rispettive industrie nazionali.

Circa il secondo punto (l’aumento del prezzo del greggio non ha un impatto uno a uno sull’aumento dei prezzi interni), ci sono tre cose che un esperto dovrebbe sapere: (1) il prezzo del greggio è solo una componente del costo industriale della benzina, l’altra componente importante essendo la raffinazione (effettuata sul territorio nazionale da maestranze pagate in valuta nazionale); (2) il prezzo alla pompa, a sua volta, è gravato da imposte per più della metà; (3) infine, l’energia non è l’unico costo sostenuto dalle imprese: per molte di esse il costo del lavoro (pagato in valuta nazionale) incide molto di più. Quindi, se anche il greggio ci costasse dall’oggi al domani sette volte di più (ipotesi ridicola): (1) l’aumento del costo industriale della benzina sarebbe una frazione dell’aumento del costo del greggio, (2) l’aumento del prezzo alla pompa sarebbe una frazione dell’aumento del costo industriale, e infine: (3) l’aumento del livello generale dei prezzi (inflazione) sarebbe una frazione dell’aumento del prezzo alla pompa, cioè una frazione di una frazione dell’aumento del costo del greggio.

Vogliamo, invece di blaterare, guardare i dati?

inflazione-petrolio

La Fig. 1 riporta il tasso di inflazione e la variazione del prezzo del petrolio in valuta nazionale (lira fino al 1998, euro dal 1999). Si vede che fra le due variabili una relazione c’è. In effetti, nei “terribili” anni ’70, che ancora suscitano incubi in certi animi sensibili, il decollo dell’inflazione segue quello del prezzo del petrolio, e nel 1974 i due picchi coincidono.

“Ecco!” diranno alcuni avvocati delle cause perse: “Vedi, te l’avevo detto: l’aumento del prezzo del petrolio si scarica tutto sui prezzi interni, perché l’energia, i trasporti,…”.

Un momento: avete visto la scala del grafico? L’inflazione è misurata a sinistra, e la variazione del prezzo del petrolio a destra. Nel 1974 l’inflazione in effetti raggiunse il 19%, ma il prezzo del petrolio (in lire) era aumentato del 328%! Sì, avete capito bene: l’inflazione fu circa un quindicesimo della variazione del prezzo del petrolio. Del resto, quando nel 1986 ci fu il controshock petrolifero, e il prezzo del petrolio in lire si dimezzò (-50%), in Italia i prezzi al consumo non diminuirono: semplicemente, aumentarono di meno. Sorprendente? No, se si applica la logica economica che vi ho esposto sopra. Il ragionamento secondo il quale se il petrolio aumenta di x, allora la benzina aumenta di x, e quindi tutti i prezzi interni aumentano di x, perché ogni merce viene trasportata, colpisce molto la fantasia popolare, ma è, come dire, lievemente impreciso.

Certo non è colpa degli elettori se aderiscono a ragionamenti così superficiali: sono gli unici argomenti sviluppati dalla stampa del regime eurista. Ma siamo fiduciosi: presto il regime cambierà, e in ordinata simmetria, ne siamo certi, cambieranno anche i ragionamenti della (libera) stampa.

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